Quando studiavo all’Accademia d’Arte Drammatica ci insegnavano che una poesia non si recita, si legge. Fai capire il verso, onora la metrica, rispetta la punteggiatura. La fruizione poetica è interiore, individuale e irripetibile, fondata su un intreccio di esperienze sensazioni e pensieri impossibile da ritornare in pubblico.
In questi giorni è uscito il film “Snoopy and Friends” tratto dall’opera del più grande poeta americano contemporaneo, Schulz. I suoi Peanuts – tessuto connettivo del nostro spirito – , lievi, ironici, profondi, psicanalitici, cattivisssimi, dolcissimi, ineluttabili come la morte, immortali come la vita, hanno invaso gli schermi trasformati in pupazzi da riciclare nel merchandising.
Non ho visto il film e non lo vedrò. Non per un atteggiamento snob o per un qualsiasi pregiudizio intellettuale. Voglio solo continuare a sognare. I Peanuts non sono né cinema né cartoni animati. Sono fumetti, voci interiori, mediazione tra disegno e parola decifrate dal cervello e elaborate dall’immaginazione in quel misterioso processo mentale chiamato lettura. La mia Piperita Patty, la mia Sally Brown il mio Pig Pen nessuno li può toccare, nessuno li può interpretare. Non sarebbero più loro.
È poesia, non la puoi materializzare. Dovessi sentire la voce di Charlie Brown o di Linus, i silenzi di Woodstock, o il rumore dell’aereo di Snoopy la magia d’incanto svanirebbe, tutto si trasformerebbe in realtà e del sogno resterebbe solo lo spettro.
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