«Se sogni, sii realista!». Quest‘aforisma di Lapo Graz apparentemente paradossale è la premessa artistica perchè tutto ciò che sia oltre il dato reale possa funzionare. La distopia di Orwell, la fantascienza di Kubrick, il linguaggio onirico di Fellini, senza una costruzione intessuta su dati e sentimenti verosimili, se non pedantemente realistici, rimarrebbero vuoti esercizi di stile ormai dimenticati.
Lo stessa regola vale per il grottesco. Per funzionare ha bisogno di un solido impianto credibile su cui innescare poi la forzatura iperbolica della realtà appena descritta. È il caso di “Storie pazzesche” (titolo originale più calzante “Relatos Salvajes” ovvero “Racconti selvaggi”), il film diretto dall’argentino Damian Szifrón e prodotto da Almodovar.
Tutti gli episodi partono da un quotidiano raccontato minuziosamente, più vero del vero nel quale è sin troppo facile immedesimarsi: un cretino che non ti fa sorpassare in autostrada, una festa di matrimonio, l’ennesima multa da pagare, un casuale incontro in aereo. Su queste “tranches de vie” scatta una deriva immaginaria, a questo punto assolutamente plausibile, che trascina lo spettatore in un tourbillon rocambolesco ricco di humour nero, invettiva sociale, perfidia etica nel quale è liberatorio e appagante lasciarsi andare.
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