Cos’è? Cos’è? Ma che colore è? / Cos’è? Quel bianco intorno a me? / Cos’è? Io non l’ho visto mai! Starò sognando? In guardia, Jack! / Ma cos’è?? / Cos’è?
Lasciamo alle parole di Jack Skeleton nel gioiellino Nightmare Before Christmas, il compito di manifestare la nostra sorpresa, spiazzamento, perplessità di fronte al nuovo lavoro di Tim Burton Big Eyes.
Un netto taglio rispetto al passato in cui la quotidianità del mondo reale veniva infranta, contaminata, colorata dal mondo surreale popolato di misteriose e fantasmagoriche creature generate dalla fervida fantasia del nostro Tim. In questo frangente invece la cornice realistica risulta sin troppo strutturata per permettere al mondo burtoniano di emergere, esplodere con dirompente vivacità. Trattansi infatti di una storia ispirata a fatti realmente accaduti, ovvero alla figura di Margaret Keane pittrice tra gli anni Cinquanta e Sessanta, divenuta famosa per l’ampiezza degli occhi dei personaggi raffigurati nei suoi quadri, e del marito Walter Keane ritenuta per almeno dieci anni il vero autore delle sue opere. Il tutto si risolse in una causa in tribunale in cui Margaret vide finalmente riconosciuto il suo lavoro sia dal punto di vista artistico che economico.
Al suo secondo tentativo nel genere biopic (dopo il felice esordio nel genere con Ed Wood), Burton cade nella piattezza di un genere difficilissimo, che neanche il talento del regista californiano ha saputo rivitalizzare. Eppure i temi del cinema burtoniano ci sono tutti a partire dal “diverso” come protagonista, in questo caso un diverso psicologico più che fisico, relegato ai margini della società ben rappresentata dalla figura iconica del marito Walter, affabulatore, gran venditore e promotore; l’apparire che si sposa per poi scontrarsi con l’essere della moglie. Un connubio che porterà nelle tasche di entrambi una fortuna economica incommensurabile, l’opposizione del mondo accademico (gallerie e critica d’arte) e la simpatia del mondo avanguardista (Andy Warhol su tutti).
Una rappresentazione fortemente ancorata alla realtà, dove l’estro di Burton emerge in pochi e significativi momenti come l’allucinazione di Margaret con i suoi personaggi dagli occhi enormi che prendono vita e la fotografia fortemente pastellata di Bruno Delbonnel (alla Edward Mani di Forbici) che impacchetta il tutto in una dimensione evocativamente favolistica. Christoph Waltz nel ruolo del marito Walter dimostra capacità mattatoriali enormi, fagocitandosi l’intero film e dando saggio delle sue capacità comiche nell’irresistibile sequenza del tribunale dove la comicità slapstick del primo Burton (Pee-Wee’s Big Adventure, Beetlejuice) riemerge con inesauribile vivacità.
Complessivamente però il film scorre senza grandi sussulti, senza la meraviglia di immagini e personaggi e situazioni a cui Burton ci aveva sin troppo bene abituati. Che si sia voluto prendere una pausa? Ce lo auguriamo. Che si sia esaurita la sua fonte ispiratrice? Non vogliamo neanche pensarci, perchè dopo i recenti tonfi di Woody Allen, non potremmo sopportare il tramonto di un altro nostro “eroe” di celluloide.
Ti aspettiamo Mr Burton, con affetto inalterato.
Titolo originale | id. |
Regia | Tim Burton |
Sceneggiatura | Scott Alexander, Larry Karaszewski |
Fotografia | Bruno Delbonnel |
Montaggio | JC Bond |
Scenografia | Rick Heinrichs |
Costumi | Colleen Atwood |
Musica | Danny Elfman |
Cast | Amy Adams, Christoph Waltz, Danny Huston, Krysten Ritter, Jason Schwartzman, Terence Stamp, Jon Polito, Stephanie Bennett, Heather Doerksen, Andrew Airlie, Elisabetta Fantone, Emily Fonda, James Saito, Vanessa Ross, Steven Wiig, Jill Morrison, Emily Bruhn |
Produzione | Silverwood Films, Electric City Entertainment, Tim Burton Productions, The Weinstein Company |
Anno | 2014 |
Nazione | USA |
Genere | Drammatico |
Durata | 105' |
Distribuzione | Lucky Red |
Uscita | 01 Gennaio 2015 |
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