Beautiful Boy

Come si affronta il grande Demone della tossicodipendenza di un figlio? Con l’amore che tutto avvolge, percorrendo i sentieri della comprensione prima, dello scoramento poi; con la reclusione in centri specializzati con medici, psicologi e terapisti che vanno a costruire una “famiglia” alternativa; con l’allontanamento che attraversa la rabbia, l’impotenza, l’angoscia di un padre per il proprio figlio, il proprio “Beautiful Boy“.

Tre strade accomunate da un unico comun denominatore: il potere distruttivo della droga e la forza rigenerante dell’amore.

Tratto dall’omonimo bestseller del giornalista David Sheff e sull’autobiografia di suo figlio Nic, due punti di vista differenti sulla stessa storia che il regista candidato all’Oscar Felix Van Groeningen per Alabama Monroe – Una storia d’amore, tenta di far convivere senza una vera scelta di campo.
Il risultato è un viaggio spietato all’interno del mondo della dipendenza e delle conseguenze su amici e familiari, attraverso uno stile da cinema indipendente con macchina a mano e linee temporali che si avvolgono le une con le altre in maniera elicoidale col risultato di aiutare da una parte ad avvolgere emotivamente lo spettatore nella storia, ingarbugliando dall’altra il filo logico-drammaturgico del racconto.

Prodotto da Brad Pitt, nella parte del padre protagonista troviamo quello Steve Carrell nato comico e votato al genere drammatico da qualche anno a questa parte, capace di donarci un’altra eccellente interpretazione piena di pathos ma tutt’altro che patetica, con una recitazione che gioca sulla sottrazione e sul non detto. Certi primi piani valgono più di qualsiasi parola. Meditate sceneggiatori ed attori italiani.

Un film spietato, brutale, diretto, tanto imperfetto quanto potente che ti lascia frastornato e ti rimane attaccato addosso oltre i titoli di coda.