Occhio al restauro. Questo il programma del cinema Trevi – Cineteca Nazionale da venerdì 13 a domenica 22 febbraio. Il programma prevede come sempre incontri, presentazioni di libri e due restauri dei film di Rosi curati dalla Cineteca Nazionale e dalla Cineteca di Bologna.

13 febbraio Film maledetti: OcchioPinocchio e I cancelli del cielo
14 febbraio Cinema e psicanalisi: Un mondo precario
15 febbraio Cineteca Classic: Louis Malle
15 febbraio Striplife: un giorno a Gaza
15 febbraio Fatti e strafatti
17 febbraio Omaggio a Francesco Rosi
18-22 febbraio Massimo Girotti: cronaca di un attore

 venerdì 13 febbraio

Film maledetti: OcchioPinocchio e I cancelli del cielo

Ricordato oggi essenzialmente come una catastrofe commerciale di portata storica, Heaven’s Gate fu distribuito in Italia solo nella versione massacrata al montaggio da un Michael Cimino in preda al panico, mentre la Director’s Cut che ne consentì la doverosa e tardiva rivalutazione è rimasta per anni accessibile ai soli spettatori disposti ad affrontarne la visione in lingua originale sottotitolata. Frutto di una laboriosa e attenta risincronizzazione, sull’edizione integrale restaurata, delle battute italiane disponibili in entrambe le versioni, e completata da nuovi sottotitoli per le scene presenti nella sola Director’s Cut, l’edizione approntata da Alberto Farina per Rai Movie consente per la prima volta di confrontare i due Heaven’s Gate in trasparenza per valutare l’entità degli interventi inferti negli anni Ottanta e riscoprire un capolavoro controverso e maledetto.

Alla ricerca di un film italiano da accostare a Heaven’s Gate per ambizioni e difficoltà produttive, la scelta è caduta su OcchioPinocchio di Francesco Nuti, che, se rivisto oggi, a vent’anni di distanza, con maggior serenità d’animo ed equilibrio, può regalare delle imprevedibili sorprese…

ore 17.30 OcchioPinocchio di Francesco Nuti (1994, 139’)

«Supercult pinocchiesco. Disastro produttivo, ma anche affascinante tentativo autoriale megalomane di un comico al massimo del suo successo pronto a giocarsi tutto. Film bizzarro, difficilmente collocabile nel panorama italiano, difeso strenuamente da Nuti, che ci ha speso tre anni di lavoro, scrivendolo, dirigendolo, interpretandolo e parzialmente producendolo, portandolo a termine un anno dopo la sua prevista uscita di Natale ’93. Ma soprattutto è un caso, rarissimo nel nostro di cinema, di film monstre, di eccesso autoriale che si scontra con il potere della produzione, rappresentata in questo caso dalla coppia Cecchi Gori-Berlusconi […]. A novembre del 1993, infatti, il film venne interrotto (“per la mia ‘probabile labilità’, questa è la causa ufficiale che ho letto. Ma io stavo benissimo” dice Nuti), gli studi vennero smontati e sembrò che tutto il progetto andasse in fumo. Le tesi erano diverse. Si parlava di eccessi di spese di lavorazione, di follie registiche […]. A un anno esatto di distanza, Francesco Nuti riesce a riprendere in mano il suo film, a terminare le riprese e a lanciarlo in sala per Natale. […] Il film è troppo lungo, non ben funzionante, perché si passa dall’eccesso iniziale di film alla Cimino a un minimalismo pieraccioniano. Il pubblico non ci va, ha capito che siamo di fronte a un’operazione Joan Lui, e non è interessato a un Nuti-Pinocchio, al comico che vuole far l’autore, vuole le vecchie storie comiche-romantiche. E Pieraccioni è dietro l’angolo. Nuti, comunque, riuscirà a risollevarsi dal suo Occhiopinocchio, che rimane a tutti i livelli un film di culto, eccessivo e bizzarro» (Giusti).

ore 20.00 Heaven’Gate di Michael Cimino (I cancelli del cielo, 1980, 219’)

«Wyoming, 1890: ricchi baroni del bestiame assoldano dei mercenari per sterminare i poveri contadini immigrati, ladri presunti e comunque per necessità. […] Atipico, maestoso e curatissimo western (sceneggiato dallo stesso Cimino), che contemporaneamente celebra e distrugge il mito della frontiera. Determinò il fallimento della United Artists, che spese 44 milioni di dollari incassandone 1 e mezzo, e stroncò la carriera di Cimino, sottoposto a ostracismo dalle vaie major (per paura di disavventure produttive) e al linguaggio ideologico da parte della critica Usa per l’attacco frontale al Sogno Americano. Tempi lunghi, storia “incoerente” e ritmo fluviale non sono difetti ma virtù di questo film maledetto, che lascia senza fiato anche per la straordinaria fotografia di Vilmos Zsigmond» (Mereghetti).

Per gentile concessione di Metro Goldwyn Mayer e in collaborazione con Rai Movie – Ingresso gratuito

 

sabato 14 febbraio

Cinema e psicanalisi: Un mondo precario

Cinema e Psicoanalisi hanno diversi punti in comune: nati e sviluppatisi nello stesso periodo storico, hanno continuato ad influenzare, con la propria ricerca, la cultura e l’arte da versanti diversi. Partendo da un incontro fecondo d’interessi, la Società Psicoanalitica Italiana e il Centro Sperimentale di Cinematografia hanno da alcuni anni avviato delle iniziative comuni, tra cui il ciclo “Cinema e psicoanalisi”, articolato con delle proiezioni mensili al Cinema Trevi, giunto alla quinta edizione. Il tema della programmazione 2015 è un argomento di drammatica attualità: la precarietà. La psicoanalisi se, da un lato, si è sviluppata partendo dallo studio dei processi psichici che strutturano la nostra vita mentale, d’altra parte ci interroga anche su come certe condizioni di disagio, anche esterno, finiscono per interagire con i nostri livelli più profondi in un rimando tra realtà interna e mondo reale. Con tali presupposti il tema della precarietà verrà affrontato nei diversi terreni in cui emerge come la vecchiaia, la sessualità, la malattia, l’adolescenza, ma anche nelle situazioni sociali legate alle difficoltà nel mondo del lavoro e in quello dei migranti. Parteciperanno agli incontri (introdotti e coordinati da Fabio Castriota, Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana) registi, critici e psicoanalisti.

ore 17.00 Comizi d’amore di Pier Paolo Pasolini (1964, 93’)

«Nel 1963 Pasolini girò un film-inchiesta sulla sessualità, percorrendo tutta la penisola, dalle grandi città alle campagne e chiedendo a passanti, contadini, operai, calciatori famosi, studenti, commercianti, a persone comuni appartenenti a diversi ceti sociali, che cosa ne pensassero dell’erotismo e dell’amore. Dalle risposte degli intervistati, soprattutto quelli di estrazione borghese, uscì un’immagine complessiva del nostro Paese ipocrita, costituita di frasi fatte e di luoghi comuni; le persone appartenenti a classi sociali meno abbienti fornirono risposte più spontanee» (Angela Molteni).

ore 18.45 Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci (1972, 129’)

Un uomo di mezz’età e una ragazza si incontrano casualmente in un appartamento in affitto, che farà da scenario a travolgente relazione sessuale e, in controluce, umana. «Ero partito per fare un film su una coppia, ma invece ho fatto un film su due solitudini. Esattamente nel momento in cui Maria sorpassa Marlon per strada e si volta a guardarlo, ho compreso che ciascuno dei due era condannato alla solitudine» (Bertolucci). «La prima di Ultimo Tango a Parigi […] ha avuto luogo in chiusura del New York Film Festival, il 14 ottobre 1972. Questa data dovrebbe diventare una pietra miliare nella storia del cinema […]. Questo dev’essere il più potente film erotico mai realizzato, e potrebbe diventare anche il film più liberatorio che ci sia […]. Ho cercato di descrivere l’impatto di un film che ha lasciato in me l’impressione più forte in quasi vent’anni di carriera. Questa è una pellicola di cui la gente continuerà a dibattere, credo, finché esisteranno i film» (Pauline Kael).

ore 21.00 Incontro con Carla Dugo Visco e Salvatore Piscicelli moderato da Fabio Castrio a seguire Il corpo dell’anima di Salvatore Piscicelli (1999, 110’)

«Ernesto, ricco vedovo di 64 anni senza figli, abita da solo in una grande casa di un quartiere borghese di Roma. Da solo passa anche gran parte delle giornate, vivendo la solitudine come scelta consapevole e in fondo soddisfacente. Sceneggiatore per il cinema, inattivo da tempo, accetta la proposta di un regista pubblicitario di lavorare ad un copione sulla vita di Teresa d’Avila. Venutagli a mancare la cameriera filippina, Ernesto assume la giovane Luana, che si occupa delle pulizie del condominio. Luana è ignorante e goffa, vitale e sensuale, tanto efficiente sul lavoro quanto seduttiva nei movimenti e negli atteggiamenti. Ernesto si sente sempre più attratto da lei, e la convince ad allungare l’orario di lavoro con permanenze anche notturne». «Il napoletano Salvatore Piscicelli, che dell’autore è tra i pochi nel cinema italiano di oggi a conservare intatto il pedigree (e della creatività napoletana è portatore da molto tempo prima che questa diventasse un fenomeno alla moda), ha realizzato un’opera coraggiosa, un’opera probabilmente non riuscita del tutto ma semplice e complessa al tempo stesso come sono sempre le opere che esprimono autenticità, che mette in scena ciò cui di solito il cinema artistico allude soltanto». (D’Agostini).

Ingresso gratuito

domenica 15 febbraio

Cineteca Classic: Louis Malle

Primo appuntamento dedicato a uno dei cineasti francesi più antiborghesi nella storia del cinema d’Oltralpe. «Grande borghese nemico della borghesia, in venti film narrativi e otto documentari importanti, da Les amants (1958) a Il danno (1992), con calma eleganza Malle ha violato i tabù inviolabili: l’alta condizione sociale e la mistica della maternità sconfitte dalla passione carnale improvvisa, l’incesto tra madre e figlio raccontato come un gioco occasionale e lieve, la naturalezza d’una prostituta dodicenne in un bordello americano, la scelta fascista durante l’occupazione in Francia da parte d’un contadino diciassettenne descritta come un percorso comprensibile, le pulsioni rivoluzionarie borghesi del Sessantotto irrise, l’Edipo capovolto. Nato nel Nord della Francia, terzo dei sette figli d’una famiglia di ricchi industriali d’origine alsaziana, educato in un collegio di Gesuiti e nel collegio di Carmelitani vicino a Fontainebleau evocato in Arrivederci ragazzi, obbligato nell’adolescenza a vivere isolato e protetto a causa d’una insufficienza cardiaca (Soffio al cuore), Malle è precoce: “Ho letto Gide a tredici anni”. A diciassette anni si iscrive all’Idhec, la scuola parigina di cinema (il suo film-diploma di cinque minuti mostra, come La mia cena con André, due persone in attesa di qualcuno che non arriva) e comincia presto a lavorare come assistente di Jacques Cousteau per Il mondo del silenzio. A venticinque anni dirige il suo primo film, Ascensore per il patibolo: è già sposato con Anne-Marie Deschodt, da cui divorzia per poi risposarla e infine separarsene; nel 1980 ha sposato Candice Bergen. […] “Non so cosa sia il cinema politico. Credo che i film d’autentica importanza politica non siano quelli militanti, il cui unico scopo è confermare una posizione già acquisita, una retorica già esistente, ma quelli che scuotono, che turbano, che obbligano alla riflessione”, afferma Louis Malle. Il regista lo diceva nel 1976. Diceva anche: “Io non credo alla democrazia, non ci ho mai creduto. è una parola che corrisponde a una realtà in cui la classe dominante può permettersi il lusso di dare l’impressione che sia il popolo a governare. Ma non è il popolo che governa, si sa benissimo…”» (Tornabuoni).

ore 17.00 Il danno di Louis Malle (1992, 111’)

Stephen Fleming, un cinquantenne conservatore inglese, sottosegretario del Governo di sua Maestà ha una quieta e gradevole moglie (Ingrid), un figlio giornalista (Martyn) e una splendida casa. Il giorno in cui conosce Anna Barton, la giovane fidanzata del figlio, è immediatamente attratto da lei: è un delirio e una follia perché gli incontri amorosi con la donna si ripeteranno. «Poche volte si è vista riprodotta con tanta esattezza l’urgenza, la tenerezza, la ferocia di quel sentimento sempre così difficile da rappresentare che è l’amore fisico. Mentre resta volutamente ambiguo il senso della parabola» (Ferzetti).

Striplife: un giorno a Gaza

«Striplife è un film corale che racconta la striscia di Gaza. Nell’arco narrativo di una giornata, le storie dei personaggi si fondono alla descrizione del contesto ambientale. Uomini e donne che resistono, capaci di tenerezza e sorrisi, determinati a non soccombere a condizioni di vita che appaiono impossibili. Il film nasce da un progetto collettivo ed è stato realizzato da videomakers italiani e palestinesi, condividendo idee, storie, visioni e competenze tecniche. Non un film su Gaza, ma con Gaza» (dalle note di regia di Striplife).

ore 19.00 Striplife – Gaza in a day di Nicola Grignani, Alberto Mussolini, Luca Scaffidi, Valeria Testagrossa, Andrea Zambelli (2013, 60’)

Striscia di Gaza. Un evento inspiegabile è avvenuto durante la notte: decine di mante si sono arenate sulla spiaggia principale di Gaza City. Carretti di pescatori accorrono su tutta la Striscia per accaparrarsi pesce fresca. Intanto la città si sveglia. Antar sprona il fratello ad alzarsi, è il grande giorno, nel pomeriggio inciderà il suo primo disco. Noor si trucca, dovrà apparire davanti alle telecamere. Jabber è già nel campo. Gli spari dei fucili gli ricordano che vive nella zona cuscinetto che separa Gaza da Israele. Un corteo si snoda per le strade. Moemen è lì per fare il suo lavoro, il fotografo. Al porto una barca rientra con lo scafo trivellato dai proiettili. Il canto del muezzin invade lo spazio, moltiplicato dai minareti. Come in un sogno, i ragazzi del Parkour Team piroettano in un cimitero. La vita nella Striscia si snoda fino a notte. Distribuito da Lab 80 Film.

Per gentile concessione di Lab 80 Film – Ingresso gratuito

Fatti e strafatti

 «Immagino tutti ricordiate Sabrina di Billy Wilder, un capolavoro irripetibile. Nel 1995 ne fu fatta una nuova versione firmata Sydney Pollack con Harrison Ford nella parte che fu di Bogart. Con tutto l’amore che nutro per Pollack, non riuscii a terminarne la visione. Uscii dal cinema con le paturnie chiedendomi che senso ha rifare una cosa che è perfetta. Sarà inesorabilmente una brutta copia. In scultura vi sono molte rappresentazioni della Pietà, ma nessuno ha mai pensato di rifare quella di Michelangelo, mentre nel cinema è normale che i film riusciti siano soggetti a periodici tagliandi dove si sostituiscono per intero i “pezzi”. Questa rassegna intende compiere una ricognizione nello “sfasciacarrozze” della settima arte rovistando tra i pezzi originali dei più acclamati modelli, quasi tutti “assemblati” durante l’era del Muto e, più che “rifatti”, successivamente “strafatti”. Diciamo che è una rassegna vagamente polemica, ma come sempre spinta dalla più appassionata e divertita curiosità. Buona visione e buon ascolto» (Antonio Coppola).

ore 21.00 La passion de Jeanne d’Arc di Carl Theodor Dreyer (La passione di Giovanna d’Arco, 1928, 95’)

«Processo e morto sul rogo di Jeanne d’Arc (1412-31), giovane contadina lorenese, concentrati in una sola giornata (14 febbraio 1431): la Pulzella d’Orléans raccontata come vittima e martire, donna che soffre, opponendo intelligenza, umiltà e la sua solitudine ai giudici di Rouen. Uno dei capolavori del muto, e un vertice nella carriera del danese Dreyer che si serve del primo piano (quasi metà del film) per risolvere l’arduo problema del film storico: col primo piano compensa il tempo con lo spazio e riporta al presente lontani fatti storici: il volto umano come specchio dell’anima e del suo destino. Fondato sulla plasticità dell’inquadratura e sui valori ritmici del montaggio, è in un certo senso il capolavoro dell’espressionismo e, forse, l’unico film espressionista non contaminato da elementi letterari e teatrali. Splendido bianconero di Rudolf Maté» (Morandini).

Accompagnamento musicale del M° Antonio Coppola

martedì 17 febbraio

Omaggio a Francesco Rosi

Il 10 gennaio 2015 si è spento uno dei più grandi autori del cinema italiano, Francesco Rosi. A tal proposito ha scritto lo storico Gian Piero Brunetta: «Tra i registi del dopoguerra Rosi si inserisce in una grande linea – in cui si collocano […] anche Welles, Huston, Losey, Kubrick, Kurosawa – di autori per cui la vocazione realistica implica anche la capacità naturale di passaggio dal piano della realtà a quello del sogno, senza soluzioni di continuità. Fellini e Bergman fanno parte di un gruppo che si muove in direzione analoga, ma su percorsi paralleli. […] I film di Rosi non hanno mai una struttura in cui l’orizzonte si viene restringendo e per via di esclusioni venga improvvisamente imboccata la strada che porta alla rivelazione finale degli enigmi e alla risoluzione dei misteri. La scomposizione della linearità narrativa a favore di una forma che si potrebbe chiamare a grafo sparso fa sì che lo spettatore venga condotto lungo un percorso labirintico in cui sempre i processi di occultamento e cancellazione della verità prevalgono sulla rivelazione. A mano a mano che si avanza di fatto i nodi non si risolvono, né la verità si avvicina. Sia le cause che le soluzioni si raddoppiano, si scompongono in un gioco di specchi e rifrazioni, si dilatano ipertroficamente a ventaglio. I colpevoli non vengono scoperti, le zone d’ombra sembrano occupare uno spazio crescente nella nostra storia. Gli interrogativi senza risposta si moltiplicano. Che sia il contesto a interessare Rosi si capisce presto: la figura di Giuliano, ad esempio, non è soggetto drammatico dell’azione né viene mai ripresa direttamente. Lo si vede di profilo, di spalle, a distanza, in campo totale, se ne sente la voce fuori campo, ma il procedimento registico mira a illuminare cause ed effetti delle sue azioni».

ore 17.00 Salvatore Giuliano di Francesco Rosi (1962, 123’)

Subito dopo la liberazione della Sicilia Salvatore Giuliano, già fuorilegge per aver ucciso un carabiniere, costituisce una banda ed entra a far parte dell’esercito separatista. Quando l’esercito viene sciolto Giuliano torna a essere un bandito. «Bellissimo, intenso film; mai la Sicilia era stata rappresentata nel cinema con così preciso realismo, con così minuziosa attenzione. E ciò discendeva da un giusto giudizio – morale, ideologico, storico – sul caso Giuliano» (Sciascia). «Secondo me, nessun regista, mai, è riuscito a ricreare una realtà con tanta esattezza, con tanta potenza» (Soldati). Tre Nastri d’Argento: film (ex aequo con Le quattro giornate di Napoli), fotografia, musica.

Restauro a cura della Cineteca di Bologna

ore 19.15 Incontro con Roberto Andò, Fabrizio Corallo, Raffaele La Capria, Stefano Rulli

moderato da Emiliano Morreale

ore 21.00 Le mani sulla città di Francesco Rosi (1963, 100’)

Nel centro di Napoli alla vigilia delle elezioni amministrative crolla un palazzo e alcune persone muoiono sotto le macerie. Scoppia uno scandalo e inizia un’indagine della magistratura, che coinvolge un noto imprenditore, Edoardo Nottola (Rod Steiger), candidato per un partito di destra. «È ammirevole che con delle storie di immobili, di battaglie elettorali e di discussioni al consiglio comunale, Rosi ci appassioni a questo punto. Si pensa a Preminger, al suo vigore, alla solidità dei suoi racconti, ma Le mani sulla città, più mosso, più serrato di Tempesta su Washington, emana anche più calore» (Jean-Louis Bory). Leone d’oro al Festival di Venezia.

Copia restaurata a cura della Cineteca Nazionale

 

18-22 febbraio

Massimo Girotti: cronaca di un attore

La Cineteca Nazionale rende omaggio a Massimo Girotti, in occasione della pubblicazione della prima monografia italiana a lui dedicata. «Quella di Massimo Girotti è una carriera lunghissima fatta di traguardi passati spesso inosservati. Per capirne la misura bisogna partire dal suo temperamento di uomo schivo e riservato, non alla ricerca di facili successi ma bisognoso di rafforzare una propria solidità umana e affettiva. Discosto dal cliché dell’artista “genio e sregolatezza”, Girotti raramente si è allontanato dai saldi valori ai quali era stato educato. E se proprio nelle scelte professionali ha dato prova di carattere anticonvenzionale, nella vita privata Girotti ha invece mantenuto esemplarmente equilibrio e semplicità, incarnando una sorta di regolarità nell’arte» (dall’introduzione di Roberto Liberatori, autore del libro Massimo Girotti: cronaca di un attore, Teke Editori – Centro Sperimentale di Cinematografia, 2015).

mercoledì 18 febbraio

ore 17.00 Knock-out! Harlem di Carmine Gallone (1943, 90’)

«Girotti è Tommaso Rossi, un giovanotto di provincia dal volto paffuto e imberbe che si reca a New York per trovare il fratello, Nazzari, imprenditore edile felicemente integrato nella comunità italiana. Con una laurea in architettura nel cassetto si trasforma di punto in bianco in Tom Ross, pugile di successo, dopo aver steso con un destro un famoso pugile in un locale di Harlem. Con questo film Girotti torna ad essere utilizzato per le sue capacità atletiche in un film voluto per propaganda antiamericana e un po’ razzista» (Liberatori).

ore 18.45 Un giorno nella vita di Alessandro Blasetti (1946, 117’)

«La vicenda di un gruppo di partigiani che trova rifugio in un monastero di clausura, portandovi scompiglio e morte. […] Girotti se la vede con un personaggio tormentato anima e corpo, reso con toni di composta sofferenza. È il partigiano Monotti che, sdraiato su un lettino a cui lo costringe una ferita, riconosce nella badessa Elisa Cegani la donna amata in passato. Come il protagonista di una tragedia greca, consumato dai sensi di colpa, Girotti matura la consapevolezza di non poter sfuggire alle proprie responsabilità e con un pianto liberatorio implora il perdono della donna, confessando di averle ucciso il marito» (Liberatori).

ore 21.00 Incontro con Arnaldo Catinari, Liliana Cavani, Massimo Guglielmi, Roberto Liberatori, Giuliano Montaldo

Nel corso dell’incontro verrà presentato il libro di Roberto Liberatori Massimo Girotti: cronaca di un attore

moderato da Laura Delli Colli

a seguire In nome della legge di Pietro Germi (1949, 100’)

«Il personaggio del pretore Guido Schiavi inviato in Sicilia sembra un abito cucito su misura per lui: coraggioso e altruista, incrollabile di fronte alle minacce e alla corruzione… quello che si dice un personaggio attraente. La stessa struttura del film è capace di avvincere lo spettatore e farlo partecipe delle vicende del protagonista, che da una granitica risolutezza iniziale si ritrova contro tutti, ferito in un attentato, ma tuttavia capace di risollevarsi e rinnovare il proprio impegno contro il lassismo delle autorità e la violenza della mafia» (Liberatori).

Ingresso gratuito

giovedì 19 febbraio

 

ore 17.00 Idoli controluce di Enzo Battaglia (1965, 95’)

«Tutto italiano è invece il film Idoli controluce di Enzo Battaglia, che, a metà strada tra fiction e documentario, porta sullo schermo un momento di crisi nella carriera del calciatore Enrique Omar Sivori, che segnerà il suo passaggio dalla Juventus al Napoli. Girotti vi interpreta il ruolo di uno scrittore mondano e fascinoso, completamente estraneo al calcio, incaricato dal suo editore di scrivere un libro sul fuoriclasse argentino. Il film è sicuramente originale per le riprese e il montaggio, ma non sa decidersi fino in fondo se intraprendere la strada dell’inchiesta sul mondo del pallone o abbracciare il racconto delle vicende private dello scrittore» (Liberatori).

ore 19.00 Cronaca di un amore di Michelangelo Antonioni (1950, 102’)

«Cronaca di un amore mostra […] la consapevolezza che Girotti aveva della propria personalità cinematografica, della propria capacità di rendere credibili personaggi più complessi e inquietanti, uomini spinti da conflitti psicologici a vivere in uno stato di confusione. Come il personaggio di Guido Garroni, un uomo dalla debole volontà che per amore si lascia irretire da una donna ricca e annoiata nei suoi torbidi piani di morte. Un ruolo che ricorda, per qualche verso, quello viscontiano di Gino, proprio per la fragilità di carattere e per l’umanità e il bisogno di redenzione che lo rendono più accettabile rispetto alla figura della donna. Girotti si presenta nel film con un’immagine diversa, nell’insieme più matura ma anche meno seducente che in passato: i capelli bruni e composti, lo sguardo spento, l’abbigliamento cittadino a conferirgli un aspetto anonimo e conformista» (Liberatori).

ore 21.00 Ossessione di Luchino Visconti (1943, 140’)

«Ossessione, che prende spunto dal romanzo americano Il postino suona sempre due volte di James M. Cain, racconta la storia di due amanti diabolici che progettano un omicidio, ambientata nella provincia tra Ancona e Ferrara. […] L’immagine di Girotti era legata a quella di eroe positivo, dal fisico forte e gentile e l’animo virtuoso. Per il pubblico è Arminio, o il pilota Rossati, riconoscibile per gli occhi chiari e la corporatura da gladiatore moderno, piuttosto che per la qualità delle interpretazioni. Visconti offre a Girotti il destro per cambiare corso alla carriera, e lui si abbandona fiducioso nelle mani dell’amico» (Liberatori).

venerdì 20 febbraio

ore 17.00 Scusi, facciamo l’amore di Vittorio Caprioli (1968, 92’)

«La stessa cosa accade di lì a poco a Girotti nel film Scusi, facciamo l’amore, diretto da Vittorio Caprioli, con il suo ruolo del “signorino” Alberto Tassi, un attempato gigolò che ha costruito la propria fortuna come amante di ricche e annoiate signore della borghesia milanese. Nella sequenza in cui dà consigli sulle migliori piazze in cui trovare una sistemazione al più giovane Pierre Clementi, Caprioli fa quello che Visconti aveva fatto con la Mangano [ne La strega bruciata viva, episodio de Le streghe, n.d.r.]: prende Girotti, immagine di bellezza e mascolinità per oltre due decenni, e lo mostra sfatto, preoccupato di chili che si prendono e di capelli che si perdono, alle prese con massaggi e attività fisica per combattere i segni del tempo ed essere competitivi sul mercato» (Liberatori).

ore 19.00 Il mio corpo con rabbia di Roberto Natale (1972, 80’)

«In Il mio corpo con rabbia di Roberto Natale il suo ruolo è quello di Gabriele, il padre di una disadattata con turbe affettive. La ragazza è ossessionata dalla figura del padre: lo accusa di essere anaffettivo e di considerarla un oggetto da collocare in società, e si adopera per distruggere la sua felicità, il suo mondo di certezze. Senza, però, riuscirci, né ispirare alcuna simpatia nello spettatore. Al contrario, è proprio il personaggio interpretato da Girotti a uscire vincente dallo scontro generazionale messo in scena dalla pellicola. Portatore di valori, solido e saggio, ha la meglio su tutti i protagonisti. Ancora una volta Girotti era riuscito a mettere le mani su un personaggio che non lo condannava in secondo piano, ma aveva una funzione ben precisa nell’insieme. Il regista Roberto Natale, nel rendere il pensiero fisso della ragazza sul padre, mantiene presente l’immagine dell’attore dall’inizio alla fine del film, con inquadrature che scrutano i suoi movimenti e ogni espressione del volto» (Liberatori).

ore 21.00 Ossessione di sangue di Daniel Tinayre (1959, 107’)

«Pressoché sconosciuta è anche la sua esperienza di lavoro in Argentina nel 1957, dove Girotti è il protagonista di una nuova versione cinematografica di La bestia umana di Émile Zola, nel ruolo che prima di lui era stato di Jean Gabin nel 1938, diretto da Jean Renoir, e poi di Glenn Ford pochi anni prima, nel ’54, per la regia di Fritz Lang. A stringere i contatti con Girotti è l’attrice protagonista del film, Ana Maria Lynch, considerata una delle donne più belle del cinema argentino, durante un viaggio in Italia alla ricerca dell’interprete giusto. […] La storia è quella di Pedro Sandoval, un macchinista ferroviario che vive una vita segreta e febbrile. Dietro l’apparenza dei modi gentili, da grande lavoratore, Pedro nasconde con tormento la sua incapacità di relazionarsi con le donne, se non in maniera brutale. L’uomo viene trascinato in un torbido piano criminale da un superiore violento e cinico e dalla bella moglie di lui, Ana Maria Lynch, per la quale perde la testa» (Liberatori).

sabato 21 febbraio

ore 16.30 La strada lunga un anno di Giuseppe De Santis (1958, 143’)

«Un affresco sul mondo contadino che il regista è costretto a girare nell’ex Jugoslavia, perché boicottato dai produttori a causa della sua militanza politica e del suo rifiuto di portare i contenuti verso quelli più evasivi della commedia di costume. La strada lunga un anno racconta, infatti, la storia della rocambolesca costruzione di una strada da parte di vigorosi contadini che si ribellano a un destino di povertà. […] Per il ruolo di Chiacchiera, un simpatico anarchico che affronta la vita con allegria, De Santis vuole con fermezza l’amico Girotti, che riesce a valorizzare in un registro recitativo insolito, utilizzando l’espediente di renderlo goffo e adorabile allo stesso tempo. […] Girotti si presenta sullo schermo, fin dalla prima inquadratura, completamente diverso e insolito. Mai era apparso così smagrito e imbruttito in nessun film, tanto da confondersi, con le sue ossa aguzze e la barba scura e incolta, con le fisionomie meno raffinate o sgraziate delle comparse slave, con impressi nel volto i segni della povertà» (Liberatori).

ore 19.00 L’Agnese va a morire di Giuliano Montaldo (1976, 134’)

«Tra i primi registi a raccogliere la sua aspirazione a più dignitose produzioni è Giuliano Montaldo che lo sceglie per il ruolo del partigiano Palita in L’Agnese va a morire. In realtà Montaldo arriva a lui con un certo imbarazzo. La parte è piccola, ha paura di non far cosa gradita all’attore di Visconti e Pasolini con un ruolo marginale. Ma Girotti accetta, con sua sorpresa, e generosamente, sapendo che il film conta su un budget modesto. Altri avevano tentato, senza riuscirci, di portare sullo schermo il libro di Renata Viganò, il racconto del risentimento popolare verso l’offesa dell’invasione nazista. […] Il personaggio di Palita riporta Girotti tra il fango alto e vischioso della pianura padana, in quegli stessi luoghi dove il Gino Costa di Ossessione aveva vissuto la sua cruenta storia d’amore. Montaldo lo cita figurativamente quando l’attore, più vecchio e più saggio, appare sullo schermo con un vecchio Borsalino in testa» (Liberatori).

ore 21.30 Interno berlinese di Liliana Cavani (1985, 121’)

«Nel cinema, invece, Girotti fornisce una replica perfetta dell’immagine di uomo elegante e sofisticato per il film Interno berlinese di Liliana Cavani. La regista di Portiere di notte e La pelle aveva ricostruito l’ambiente sociale delle ambasciate e dell’aristocrazia del capitale alla vigilia della seconda guerra mondiale, per raccontare la storia di uno scandalo che travolge la vita di una giovane coppia quando, nel suo ménage, compare una bella giapponese che finisce per sedurli. […] Il rapporto instaurato con la Cavani è ottimo: l’attore si sente apprezzato e benvoluto anche se il suo ruolo nel film, quello di un ufficiale della Wehrmacht, vittima del pesante rigore moralistico della Germania nazista, è minimo. Accarezzato dalla macchina da presa, Girotti fa la sua piccola apparizione nella sequenza della festa in cui viene consegnato, assieme al giovane amante, nelle mani del capo della polizia come un perfetto capro espiatorio. Lo smoking impeccabile e il piglio aristocratico trasmettono una tale maestà da fissare alla sua nuova immagine di attore quella di un’umanità che trascorre l’esistenza all’insegna della distinzione» (Liberatori).

domenica 22 febbraio

ore 17.00 Rebus di Massimo Guglielmi (1989, 124’)

«Lo convince invece Rebus, il film debutto di Massimo Guglielmi da un racconto di

Antonio Tabucchi, con una produzione ricca e attori di calibro; qui, sempre elegantissimo, con il volto segnato da una malcelata inquietudine, appare nelle vesti di un aristocratico francese, al centro di un ricatto, costretto a sopportare per amore i tradimenti della giovane moglie Charlotte Rampling. L’attrice di Il portiere di notte, che in quegli anni godeva di una rinnovata notorietà, è solo l’ultima di una serie di partner eccezionali con le quali Girotti aveva avuto l’occasione di recitare nella sua decennale carriera» (Liberatori).

ore 19.15 Dall’altra parte del mondo di Arnaldo Catinari (1992, 89’)

«L’occasione è l’esordio alla regia del direttore della fotografia Arnaldo Catinari, che firmerà le luci di alcuni tra i più bei film del cinema italiano. Dall’altra parte del mondo non è tra i più importanti della sua carriera, ma permette a Girotti di tornare ad essere protagonista di un film. Il suo ruolo è quello di Aureliano, un vecchio silenzioso che, dopo una vita spesa in Africa, si guadagna da vivere dipingendo ritratti di donne di colore. Nel film gli accade di tutto: di uccidere due uomini e poi spacciare droga per salvare una donna africana dai suoi sfruttatori. L’aspetto più interessante è che, con questo film, Girotti prende confidenza con il personaggio di un uomo anziano che fa da mentore a una donna giovane, personaggio che sarà ripreso anni dopo per il film che coronerà la sua carriera d’attore. Per il resto, la pellicola emoziona nelle scene in cui Girotti ritrova sul set dopo quarant’anni l’attrice Marina Berti, la sua partner di Ai margini della metropoli, che nel film interpreta il ruolo di un’amante giovanile. […] Il loro nuovo e breve incontro è segnato da un’ombra di malinconia e dalla grazia e l’intelligenza che i due attori sanno dare ai loro personaggi» (Liberatori).

ore 21.00 La finestra di fronte di Ferzan Ozpetek (2003, 107’)

«L’offerta di Ozpetek e Romoli arriva a Girotti sulla soglia degli ottantaquattro anni e dopo un periodo di inattività: due anni lunghissimi e penosi per un attore che non riusciva a stare lontano dal set e nel corso dei quali aveva in cuor suo abbandonato l’idea di una parte da protagonista […]. Avrebbe dato animo al personaggio centrale di Davide, un uomo alle prese con i meandri della memoria, una memoria dolorosa e piena di rimpianti, che fa da mentore a una giovane donna, incitandola a ritrovare se stessa e a pretendere una vita migliore. Accanto a lui attori giovani e popolari come Raoul Bova, Giovanna Mezzogiorno e Filippo Nigro, secondo uno schema efficace, che sarà una delle cifre stilistiche di Ozpetek, che unisce nuovi modelli divistici, vicini al pubblico delle sale, con vecchi leoni ruggenti» (Liberatori).

Cinema Trevi – vicolo del puttarello, 25 – Roma
tel: 0672294301 – 389
ingresso 4 euro – rid. 3 euro