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The Long Excuse

“La vita sono gli altri.” E’ quanto realizza un arido marito rimasto vedovo quando inizia ad occuparsi dei figli dell’amica scomparsa insieme alla moglie in un incidente stradale nel dramma giapponese The Long Excuse. Ovvero la nostra vita si definisce e realizza, prende forma e signifcato solo in relazione agli altri. Un concetto non originale ma che fa bene sentirselo ricordare una volta ogni tanto, che percorre come un filo rosso, molte delle pellicole viste all’11esima edizione di Cinema, Festa del Cinema di Roma da poco conclusosi.

Viggo Mortensen (ph. Fabio Melandri)

Viggo Mortensen (ph. Fabio Melandri)

Un filo rosso che parte dallo stesso film vincitore del Premio del Pubblico BNL, il furbetto e piacione Captain Fantastic di Matt Ross con un Viggo Mortensen nel ruolo di un padre hippie che educa i propri figli ad una vita nei boschi alla Henry David Thoreau, prima di un doloroso ritorno nella civiltà contemporanea. Una costruzione di identità che attraversa le note protagonista di una delle pellicole rivelazioni di questa edizione, quel Sing Street di John Carney (autore del gioiellino Once, a cui in parte questa pellicola si ricollega) dovei il quattordicenne Conor attraverso la sua banda di nerd riesce a costruirsi un ruolo nel mondo dotando la propria vita di una Chiave di Sol chiara.

Se ogni uomo è un’isola, la sua vita è un arcipelago (ricordate About a Boy?). Concetto declinato in forma drammatica nel notevole Manchester By The Sea (dramma familiare asciutto e coinvolgente), in chiave western nell’interessantissimo Hell or High Water, storia di rapine e riscatto nel profondo sud degli Stati Uniti, o nell’horror splatter del fenomenale Train To Busan, dove un anonimo padre di famiglia riesce a riabilitarsi agli occhi della figlia adolescente, in una lotta senza esclusione di colpi contro un’orda di famelici zombie (mio personale colpo di fulmine del festival!).

Train To Busan

Train To Busan

Solitudini come quelle del regista Fritz Lang (Fritz Lang di Gordian Maugg, curioso per come le immagini del film vengono miscelate con sequenze tratte dai medesimi film del Maestro tedesco) o della diciottenne colombiana Amparo, figura femminile alla Lars Von Trier nel durissimo ed a volte insostenibile La mujer del Animal di Victor Gaviria o del medesimo scrittore Thomas Wolfe protagonista del laccato e noiosetto Genius di Michael Grandage, che si vestono di senso una volta in relazione con il mondo che li circonda, un po’ come la notorietà che lo storico negazionista David Irving ebbe dalla causa intentata contro la storica Deborah Lipstadt nel legal-drama senza infamia e senza lode Denial di Mick Jackson.

La mujer del animal

La mujer del animal

Complessivamente un’edizione interessante più per gli eventi collaterali (gli incontri con esponenti del mondo del cinema, arte, letteratura, architettura e musica aperti al pubblico) che non per le pellicole viste, che fatte salve pochissime eccezioni non riesce a presentare film “ricordabili” regalando minime e sporadiche emozioni.

Per chi era in cerca di emozioni e spiazzamenti visivi, un viaggio a vuoto. Peccato!