Una Las Vegas vista dall’alto che sembra un modellino in scala, un dipinto degli Uffizi fotografato come se fosse un paesaggio reale, un campo di calcio che diventa una tavola di subbuteo. Olivo Barbieri entra dentro il soggetto per metterne a fuoco una porzione minima, un particolare nitido su cui si concentra l’attenzione: il resto rimane silenzioso ed enigmatico sullo sfondo. Ben prima che con gli smartphone si diffondessero in modo acritico e generalizzato effetti di sfocatura fittizia, Barbieri utilizzava sulla macchina fotografica il “fuoco selettivo”, come arma privilegiata per condurre la personale indagine sulla percezione.

Un risultato surreale e straniante, che il fotografo emiliano ottiene anche grazie a esposizioni prolungate e alterazioni della temperatura del colore nell’illuminazione artificiale dei paesaggi urbani, nella bidimensionalità astratta delle Alpi innevate, o nello sguardo insolito, carico di mistero, con cui ritrae le mete turistiche italiche. Così i classici faraglioni di Capri, stampati in negativo, diventano scogli sospesi in un mare alieno, mentre in una veduta del Colosseo il vero soggetto della fotografia non è tanto il monumento, quanto la magrittiana sagoma di un uomo di spalle e i flussi di luce delle automobili in movimento.

 Linyi, China, 2001

Linyi, China, 2001

La mostra curata da Francesca Fabiani, disponendosi con efficacia negli spazi articolati e irregolari della galleria 5 del MAXXI, ripercorre l’opera di uno dei più importanti fotografi italiani contemporanei. Nella serie sui flipper (1977-78) Barbieri coglie l’ombra, la composizione di luci sfocate, i frammenti grafici che fanno pensare alla pop art di Roy Lichtenstein e ai décollages di Mimmo Rotella; fra le fotografie dei primi anni ’80, dall’apparenza dimessa, spicca “Napoli, earthquake”, in cui il terremoto è immortalato attraverso una crepa incorniciata sul muro di un salotto barocco.

Nel contrasto fra architetture avveniristiche e ruderi cadenti, si susseguono metropoli orientali e figure colorate che paiono galleggiare su strade lattiginose. Per arrivare infine ai lavori più recenti: la documentazione dei cantieri dello stesso MAXXI, i video che giocano con ribaltamenti, sfocature e riflessi, le foto di città in prospettive deformate, sdoppiate, disegnate entro griglie geometriche.

La mostra si apre con una dichiarazione dell’autore, paradossale e ambiziosa: «Credo che il mio lavoro inizi laddove finisce la fotografia». È soprattutto quando l’alterazione visiva si fa meno marcata e più impercettibile, che Olivo Barbieri riesce a guidare sottilmente lo sguardo dello spettatore, spiazzandolo nelle proprie certezze ottiche per portarlo ad un superamento della realtà fotografica e ad interrogarsi con meraviglia sulla natura dell’immagine stessa.

Dal 29 maggio 2015 al 3 gennaio 2016 – MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo – Via Guido Reni 4A – Roma