Arti digitali, monocromie luminose e Québec: in occasione dell’International Year of Light indetto dall’Onu, la sesta edizione di Digitalife, sezione hi-tech del Romaeuropa Festival, si intitola Luminaria ed è allestita all’ex Mattatoio della Pelanda di Macro Testaccio in collaborazione con Elektra, il Festival d’Arte Digitale di Montréal.
Se, all’interno del percorso espositivo, alcune sale buie, prive di apparato esplicativo e popolate di video e pulsazioni luminose, possono abbagliare lo sguardo e stancare l’udito con flash stroboscopici, illusioni percettive e vibrazioni sonore, ecco che gli “Idrofoni” di Pietro Pirelli e “Fuji” di Joanie Lemercier arrivano a portare un’oasi di pace e di sapienza orientale. Dopo aver incantato Digitalife 2014 con la sua “Arpa di Luce”, Pirelli torna con un’opera di raffinata poesia che materializza la musica in onde liquide e luminose: il gong suonato dal visitatore increspa le sottili superfici d’acqua che a loro volta si riverberano sulle lampade sensibili, creando anelli concentrici e fiori di luce sul pavimento di legno e sulle sfere sospese fra i rami. In “Fuji” una foresta di bambù ai piedi del vulcano giapponese, proiettata su un duplice schermo, diventa un reticolato di linee bianche e nere a cui corrisponde una tessitura musicale diffusa: l’essenzialità di un paesaggio, oscillante fra bi e tri-dimensionalità, in una notte attraversata da nubi, vento, pioggia e lucciole.
Sullo schermo di “Tourmente”, simpatica videoinstallazione interattiva di Jean Dubois, appaiono in primo piano personaggi tristi dalle lunghe chiome spettinate, di varie età ed etnie; chiamando il numero telefonico indicato e soffiando sul microfono del cellulare, il visitatore può divertirsi a scomporli e travolgerli con folate di vento. La forza del soffio vitale ritorna anche in “Breathless” di Alexandra Dementieva: entrando nelle gabbie luminose e respirando sul sensore è possibile intervenire sul funzionamento dei LED che segnalano l’inquinamento acustico della città e la frequenza sul web di parole legate ai concetti di paura o desiderio. Con lieve ironia, le sculture cinetiche programmate “De choses et d’autres” di Samuel St-Aubin giocano con cibo finto, facendo correre pisellini sui piatti, trasportando uova su cucchiai e imprigionando due muffin in un ingranaggio rotante.
Significative le performance, purtroppo fruibili soltanto in occasione dell’evento inaugurale del 9 ottobre e della serata successiva. Gli esoscheletri robotici di “Inferno” di Bill Vorn e Louis-Philippe Demers sembrano minacciosi ragni appesi ai cavi; una volta informati dei rischi e indossata l’imbragatura, i volontari spettatori si trasformano in ibridi uomo-macchina che paiono usciti da un videogame o film fantascientifico, cominciando a muovere le braccia armate con scatti militareschi e lampi luminosi a ritmo di musica, come marionette impazzite in preda a una danza infernale: i loro gesti sono agiti da impulsi controllati da un software. Alla coercizione violenta di “Inferno” si contrappone la delicata empatia di un altro automa: in un incontro emozionante, le braccia meccaniche di “The Blind Robot”, dello stesso Demers, indagano con le mani il volto del visitatore e ne studiano le reazioni, analizzando espressioni mimiche, sfiorando la pelle, accarezzando i capelli. In “Soft Revolvers”, infine, la giovane artista Myriam Bleau agisce su trottole trasparenti come se fossero la console di un disc jockey: un software ne elabora i dati di movimento, accelerazione e senso di rotazione, traducendoli in impulsi luminosi e sonori che Myriam gestisce mixando ritmi, melodie e campionamenti, con risultati ora gradevoli all’orecchio ora quasi di disturbo.
Gioco, percezione, costrizione, conoscenza: sono soltanto alcune delle prospettive con cui leggere le arti digitali, e Digitalife ce ne offre come sempre un prezioso assaggio.
Romaeuropa Digitalife. Luminaria. Luce e nuove tecnologie in mostra, dal 9 ottobre al 6 dicembre 2015, Macro Testaccio – La Pelanda, Piazza Orazio Giustiniani 4, Roma
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