E ho detto “Evviva evviva”, prima di entrare a vedere lo Zio Boonmee, sto per vedere il film che ha vinto il festival di Cannes quest’anno, che sarà senz’altro un signor film visto che esce premiato dal festival che ha incoronato Tarantino, ha sdoganato Park, mi ha fatto riscoprire Haneke e che pure con La classe ci aveva visto piuttosto bene. Ero tutto contento, insomma, che stavo andando a vedere un filmone di sicuro, di quelli che esci e dici “Ehi, che filmone che ho appena visto!”, ma preda all’entusiasmo ho fatto l’errore, che è quello di non essermi andato a ripassare a chi c’era a presiedere la giuria a Cannes quest’anno.
Così, a visione ultimata di questa imbarazzante pellicola, sono andato a casa dicendomi: ora scopro chi era il presidente della giuria e gli vado a rigare l’auto, che righerei pure quella del regista, ma abita lontano. E ho scoperto che il presidente era Tim Burton, che abita lontano pure lui e per ora il mio piano riga auto è bloccato da queste vicissitudini logistiche e quindi ho più tempo per scrivere la recensione.
Il film non ho capito di cosa parla, ma il titolo, che pure era accattivante, non si capisce bene che c’entra con tutto il resto. Mi dicono che nel romanzo da cui il film è tratto la cosa delle vite precedenti era più chiara, ma perchè lasciare nel titolo qualcosa che si è eliminato dalla trama?
Già, la trama.
C’è lo zio Boonmee, ok, ed è malato, poveretto. Poi arrivano il fantasma di sua moglie e il figlio tramutato in scimmia (!), vanno in montagna e lo zio Boonmee muore. In mezzo c’è anche una scena di sesso con protagonisti una principessa e una carpa. Non sto scherzando, c’è davvero, giuro.
Alla fine dell’estenuante pellicola qualcuno potrebbe chiedersi se si è trovato di fronte a un capolavoro di cui è stato incapace di cogliere la grandezza. La risposta è no. Se dei contenuti vi erano, ammesso e non concesso dunque che il film non sia un rozzo caos alla Donnie Darko che in salsa thailandese, questi sono andati perduti a causa della palese incapacità del regista di esprimerli in un modo che fosse chiaro a qualcuno di diverso da lui stesso.
Qualcuno lo chiama ermetismo, io la chiamo afasia. [davide luppi]
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