“Fare muro” ovvero la XIX edizione della rassegna TREND – nuove frontiere della scena britannica in un’unica espressione. Un’edizione iniziata il 23 ottobre in presenza, nella cornice naturale del teatro Belli di Roma, ma passata in streaming dopo appena due giorni per la chiusura ordinata dal Dpcm in seguito all’emergenza Coronavirus. Un passaggio al virtuale che da Piano B s’è fatto realtà resiliente. «Abbiamo fatto muro – racconta Rodolfo Di Giammarco, curatore, anima e storia della rassegna teatrale dedicata alle nuove frontiere del teatro britannico – Il muro, da sempre sinonimo di separazione sociale, interpersonale, civile oggi si è trasformato in un muro di resilienza, di resistenza. E quindi per noi ha significato fare muro contro il nulla, contro una visione televisiva bidimensionale proponendo la tridimensionalità della nostra rassegna che in questo modo nuovo è riuscita comunque ad arrivare alla gente a casa».
E il muro è il filo rosso che attraversa tutta la programmazione di questo Trend che, fino al 21 dicembre 2020, può essere fruito online pagando un biglietto simbolico. «Un filo irregolare ma presente nei 14 testi che proponiamo – racconta Di Giammarco – A cominciare esplicitamente dal monologo Wall di David Hare, cui si è prestato Valter Malosti: un muro innalzato per dividere ebrei e palestinesi».
Trasmettere la rassegna in streaming era un’ipotesi che il teatro Belli aveva messo in cantiere per procedere a una fruizione su un doppio binario, in presenza e virtuale: escamotage per ampliare la platea degli spettatori che, a causa nelle norme anti-Covid, si sarebbero ridotti di un terzo. Ce lo racconta Rodolfo Di Giammarco.
«Carlo Emilio Lerici (direttore del teatro Belli, ndr.) ha avuto l’idea di sostituire quegli spettatori mancanti, per ovvie esigenze legate al distanziamento, con spettatori virtuali. Dopo il Dpcm del 25 ottobre però non è stato più possibile procedere su questo doppio binario e, con la chiusura dei teatri, abbiamo proseguito solo online. Ed è stata una fortuna che il teatro Belli avesse già pronto questo Piano B che poi è diventato l’unica strategia percorribile».
Come sta andando la trasmissione in streaming?
«Siamo molto soddisfatti e felici della resa di questo esperimento che di volta in volta sta catturando pubblici leggermente diversi, ed è giusto che sia così. Spettacoli come Sleepless. Tre notti insonni di Caryl Churchill con la regia di Lorenzo Loris della compagnia milanese Teatro Out Off è riuscito ad avere una platea forse anche maggiore di quella che avrebbe avuto in una fruizione normale, in teatro. Abbiamo poi avuto numeri eccezionali con lo spettacolo Blue Thunder di Padraic Walsh con la regia di Mauro Lamanna perché tra i tre interpreti c’era Gianmarco Saurino noto al grande pubblico per la sua partecipazione a Doc, la fiction Rai di grande successo con Luca Argentero. In questo caso le telespettatrici si sono mosse con una grande attenzione e fedeltà a Saurino e di questo se n’è avvalso il teatro. E va benissimo».
Un test dunque ben riuscito che vede lo streaming come uno strumento utile da affiancare alla platea in presenza nel momento in cui si tornerà alla normalità.
«Sì direi che questo esperimento non dovrebbe valere solo per il teatro Belli e il nostro festival ma potrebbe essere una strategia da adottare anche quando si tornerà alla normalità perché non toglierebbe nulla alla platea fisica del teatro ma moltiplicherebbe le attenzioni degli spettatori magari più pigri che preferiscono godere di uno spettacolo teatrale da casa».
Però siamo d’accordo su un fatto: il teatro è teatro in quanto compresenza.
«Certo, il teatro è quello: è un uomo o una donna che parla a un uomo o a una donna. Cioè i due elementi necessari sono quantomeno una persona in scena e una in platea. Questo è il vero teatro, è qualcosa che ti dà emozioni solo se sei a pochi metri di distanza dall’artista e non c’è bisogno di ribadirlo: è così. Però tutto quello che sta succedendo ci insegna che bisogna tirarsi su le maniche e lavorare ma non per creare piattaforme tipo Netflix che non mi convincono, nonostante abbiano addirittura una tutela e un sostegno ministeriale. Mi interessano di più le iniziative dei singoli spazi che si danno da fare in emergenza e solo, però, in quanto realtà emergenziale».
Per poter trasmettere in streaming gli artisti recitano in una sala vuota: quali sono stati i riscontri dal loro punto di vista?
«Non c’è stata demoralizzazione per questo silenzio, per questa assenza, per questa mancanza di fiati e di occhi. Hanno capito che in questa situazione estrema gli occhi, le orecchie erano demandate alle tre telecamere che di volta in volta hanno preso, ripreso e selezionato per il montaggio quanto accadeva sul palco. Ognuno ha dato il meglio che poteva, sapendo che il prodotto finale sarebbe stato per certi aspetti vicino al cinema. Tali avvicinamenti però a volte hanno fatto comodo perché vedere dei primissimi piani è anche bello e magari in sala non ce la fai a crearli con i tuoi occhi perché c’è una distanza fissa. È evidente che si tratta di un set obbligatorio ma che non ha mai modificato la possibilità emotiva del recitare. Anzi in qualche modo ne ha trasmesso altri aspetti».
Le telecamere come forma di resistenza…
«Sì, assolutamente di grande resistenza e, a volte paradossalmente, anche di ampliamento della bellezza teatrale, ovviamente sempre nel campo della tecnica».
E il critico teatrale come resiste?
«Ho preso atto della situazione e in certi casi ho indossato anche i panni dello spettatore virtuale, per esempio, improvvisandomi recensore, e lo dico con modestia, con i mezzi della mia sensibilità e della mia conoscenza degli spazi e dei linguaggi teatrali, de Il barbiere di Siviglia di Mario Martone (andato in onda in esclusiva sabato 5 dicembre su Rai3, ndr). Ne ho scritto un pezzo sul mio blog senza per questo voler competere con i critici del settore. Penso che dobbiamo tutti recuperare: recuperano gli artisti, recuperiamo noi che siamo osservatori sapendo che deve essere un conto alla rovescia per tornare a quella che, di solito è una brutta parola ma che adesso invece è molto cara: la normalità».
Quali aspettative per il dopo-Covid?
«Sono fra i garantisti della salute. So perfettamente che prima dell’arte, prima dell’economia viene la salute e quindi so che quei dati che ci vengono offerti di giorno in giorno sono il termometro che ci farà intendere quando sarà naturale riaprire, magari a maglie larghe ma sempre con una rete, gli spazi teatrali e culturali in genere. Lo capiremo da soli non avremo bisogno del Dpcm di turno che comunque arriverà».
Intanto Trend può essere vissuto in streaming sul sito del teatro Belli che prosegue con The Collector di Mark Healy diretto da Francesco Bonomo fino al 13 dicembre. A seguire il 14 e il 15 dicembre My Brilliant Divorce di Geraldine Aron con Francesca Bianco diretta da Carlo Emilio Lerici, dal 16 al 19 dicembre Bobby & Amy di Emily Jenkins con la regia di Silvio Peroni e, infine, il 20 e 21 dicembre St. Nicholas di Conor McPherson un reading agìto e a cura di Valerio Binasco.
Titolo | TREND - nuove frontiere della scena britannica – XIX edizione |
Autore | Festival a cura di Rodolfo di Giammarco |
Anno | 2020 |
In scena | 23 ottobre – 21 dicembre 2020 al Teatro Belli di Roma |
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