Davanti ai suoi occhi un mare candido di ovatta. Maria Pia (Monica Samassa) lo immagina sovente da quando il suo stato di salute è peggiorato. Nell’enormità bianca sono inabissate le cose trascorse, l’architettura manierista, la casa di campagna, il ricordo dei disegni infantili. Da quando è ricoverata all’Ospedale di Ovada è solita pronunciare la parola “nulla”, simbolo di un’esistenza vuota, ridotta al niente.

“Il Diario di Maria Pia” è il testamento di una madre alla fine della vita e il materiale drammaturgico a cui il figlio Fausto attinge per realizzare un’opera teatrale basata sulla parola, sulle impressioni dettate da una donna arresa. Fausto Paravidino regista, autore e attore dello spettacolo, è l’orfano della vicenda, nella realtà e sulla scena. Ha accudito la madre dall’inizio alla fine della malattia, l’ha imboccata, risollevata, rallegrata. Insieme a Iris Fusetti – compagna del regista che interpreta se stessa – i due fungono da angeli custodi.

Il palco povero di oggetti, si abbellisce di uno stipite e qualche seggiola in ferro battuto. Al centro della scena l’oggetto fisico, vivo, è Maria Pia. Di corporatura possente la Samassa, austera nel suo ruolo, ricalca al contrario un’anima assente a se stessa, sfinita per l’infermità, giunta al capolinea: ieratica nella postura fa pensare all’Imperatrice dei Tarocchi marsigliesi, incastrata in un trono/carrozzina a cui ruotano memorie, personaggi, parole, e mai lacrime.

Il racconto de “la fatigue”, ovvero quel senso di spossatezza che travolge la donna come sotto un “rullo compressore” in tutta la persona, è il movente che aiuta a risvegliare in Maria Pia una sorta di vigore creduto perso per sempre. La vicenda biografica del regista-attore Paravidino si dispiega in fasi attraverso il cambio di più personaggi, interpretati alternamente dalla Fusetti e dal drammaturgo alessandrino. Sebbene si prediliga uno svolgimento fattuale lento, questa pièce gode di toni ilari. Paradossalmente, di fronte al dramma, non ci si rattrista, forse perché emergono profili ottimistici sull’idea del saper vivere: la spensieratezza di non aver lasciato nulla di incompiuto; i ricordi di una vita vissuta intensamente sono il lato lucente di questa esperienza reale. La leggerezza del dramma viene fuori dalla continua capacità del suo autore di imitare altri personaggi, caricandoli di accenti ridicoli. Paravidino, con quel corpo piccolo e il sorriso da ragazzino cambia camminata, intonazione della voce, spesso si pavoneggia, e forse lo può fare. Imita lo zio Cesare, entra ed esce dal grottesco, rimanendo sempre in bilico tra il semiserio e la disgrazia. Con un camice bianco, un paio di baffi o due code da bambina, la piccola stanza dell’ospedale si popola di contesti, rievocazioni e parenti. Il trasformismo accomuna i due attori, Iris Fusetti è professionale quando piagnucola nei panni di Marta, la sorella inconcludente della famiglia.

E in tutto questo via vai, nella staticità del racconto, rimane il dubbio faticoso di come faccia l’autore ogni volta a replicare questa storia. A vedersela davanti agli occhi quella donna inerme dalla voce flebile che a stento riesce a ricordare chi è. Che sia l’unico strumento per annichilire quel vuoto? Che sia il solo modo per riempire quel dolore?

TitoloIl diario di Maria Pia
AutoreFausto Paravidino
RegiaFausto Paravidino
SceneLaura Benzi in collaborazione con Lucia Giorgio
CostumiSandra Cardini
InterpretiIris Fusetti, Fausto Paravidino, Monica Samassa
Durata90'
ProduzioneNidodiragno
Anno2010-2015
GenereCommedia
Applausi del pubblicoRipetuti
In scenadal 13 al 25 gennaio al Teatro Orologio di Roma sala Moretti dal martedì al sabato 21.30, domenica ore 18.00