Alla corte di Ruth – RBG

La locandina

L’aggettivo più comune usato per un documentario è “interessante”. È un aggettivo in qualche modo difensivo, che permette di trincerare il giudizio dietro un discorso di merito. Si scopre una storia, una realtà, un milieu che non si conosceva prima, il cervello si mette in moto e poi se il ritmo è blando e l’insieme un po’ noioso, la mediazione intellettuale del critico è appunto “interessante”.

“Alla Corte di Ruth-RGB” è un documentario avvincente. È la storia di Ruth Bader Ginsburg, 85 anni, seconda donna a essere diventata giudice della Corte Suprema Americana. Nota per le sue battaglie per i diritti delle donne in un’età, gli anni Settanta, in cui vigeva ancora il più esasperato maschilismo, è diventata nel tempo una vera e propria icona pop.

Il merito delle registe Betsy West e Julie Cohen è quello di aver girato un documentario armonico, seguendo le regole basilari della fiction: mantenere alta l’attenzione. Come? La storia si sviluppa in maniera quasi drammaturgica: c’è la vicenda ben raccontata, i momenti drammatici delle lotte e dei pregiudizi e dei successi. Poi c’è il contrappunto sentimentale dell’incredibile e bella storia di amore di Ruth col marito. In sottofondo la nostalgia di più di quaranta anni di storia americana volati in un attimo. In più, il tono del racconto non è enfatico o agiografico ma leggero, ironico e curioso come la protagonista che vediamo mentre a 85 anni si allena  con il personal trainer, recita in un’opera (sua grande passione), e mentre scherza e gioca con il suo acerrimo rivale Scalia, giudice della destra più reazionaria e conservatrice.

Candidato al premio Oscar 2019 come miglio documentario dell’anno, “Alla Corte di Ruth-RGB” è un piccolo gioiello di storia contemporanea.