In un’immaginaria cittadina statunitense degli anni ’50, apparentemente idillica, un evento sconvolge la comunità: due criminali irrompono nella casa di Gardner Lodge, minacciando lui e la sua famiglia. Nell’aggressione, la moglie Rose resta uccisa, e la sorella gemella Maggie, anche lei in casa quella notte, si stabilisce da Gardner per badare al nipote Nicky.
Questa la trama di Suburbicon, ovvero: quella volta che i Coen scrissero un Hitchcock e lo lasciarono dirigere a George Clooney. L’ultimo film da regista del divo vive di anime diverse, ma non tutte riescono ad amalgamarsi al meglio, tradendo la presenza di una mano e di un’intenzione che non sono proprie degli autori originali, paragonabile a un episodio di “Fargo“: dal sapore dei Coen, ma non davvero dei Coen. E se la serie di Noah Hawley a più riprese si avvicina al capolavoro, il film di Clooney sembra avere il pilota automatico inserito, appropriandosi di una poetica che non riesce a far completamente sua e che risulta espressa con meno efficacia.
Ciò nonostante, il film si pregia delle bellissime interpretazioni di Matt Damon e Julianne Moore (che addirittura si sdoppia nei primi minuti), oltre che di un superbo e divertentissimo Oscar Isaac. E si è parlato di Hitchcock perché, ad un certo punto, Suburbicon diventa una versione non troppo velata e trasfigurata sotto la lente dei fratelli Coen de La donna che visse due volte, con numerosi dettagli e un senso della suspense e del thrilling che rimandano per forza al Maestro del Brivido, vuoi anche per il setting temporale del film che porta istintivamente ad omaggiarlo; senza dimenticarsi di Wilder e del suo La fiamma del peccato, di cui la pellicola di Clooney ricalca la trama, sicuramente non per caso.
Ricco di coeniano humour nero e di un senso ridicolo del fato, Suburbicon costruisce lo schema a cui siamo abituati dell’uomo vittima delle conseguenze che lui stesso ha causato, sullo sfondo della città che dà titolo al film. Una città dove l’omicidio di una donna nella sua stessa casa passa immediatamente in secondo piano: il vero evento sconvolgente per la comunità ignorante, ricolma di pregiudizi e razzismo è l’arrivo di una famiglia di afroamericani, che rischia di minare l’equilibrio della cittadina. L’ambientazione fantastica (ma non troppo) dell’ultimo film di Clooney è una metafora perfetta dell’America di oggi, emblematicamente rappresentata da una delle scene finali: un’America che si preoccupa di cacciare il diverso, senza vedere i mostri che stanno proprio sotto i loro occhi. Perché, sebbene sembri un film dei Coen e il grottesco sia la dimensione privilegiata, Clooney un sottotesto politico (che sottotesto non è) deve per forza inserirlo, e non è nemmeno biasimabile, vista la situazione del suo paese.
Ma è proprio il discorso politico che Clooney infarcisce in un modello che, possiamo immaginare, non lo prevedesse, a smorzare le indubbie qualità di Suburbicon e a non convincere del tutto, e a lasciare una sottile, ma amara sensazione: i Coen l’avrebbero fatto meglio.
Titolo italiano | Suburbicon |
Titolo originale | id. |
Regia | George Clooney |
Sceneggiatura | Joel ed Ethan Coen, George Clooney, Grant Heslov |
Fotografia | Robert Elswit |
Montaggio | Stephen Mirrione |
Scenografia | James D. Bissell |
Costumi | Jenny Eagan |
Musica | Alexandre Desplat |
Cast | Matt Damon, Julianne Moore, Oscar Isaac |
Produzione | George Clooney, Grant Heslov, Teddy Schwarzman |
Anno | 2017 |
Nazione | USA |
Genere | Thriller |
Durata | 104' |
Distribuzione | 01 Distribution |
Uscita | 14 Dicembre 2017 |
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