Genius

La definizione latina di “genio” si riferisce a una divinità custode, che veglia su di una persona. Per questo motivo William Maxwell Evarts Perkins, uno degli editor letterari più conosciuti e rispettati di tutti i tempi, con il merito di aver scoperto scrittori illustri come F. Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway e Thomas Wolfe, può definirsi tale. Durante la sua carriera alla Charles Scribner’s Sons, storica casa editrice americana, Perkins ha contribuito alla pubblicazione di alcuni dei più grandi capolavori della letteratura americana, tra cui “Addio alle armi” di Hemingway e “Il fiume e il tempo” di Thomas Wolfe.
La sua figura ci viene raccontata nell’arco di dieci anni, gli stessi che segnarono la sua collaborazione ed amicizia con lo scrittore e poeta Thomas Wolfe.

La pellicola scritta da John Logan (Il Gladiator, The Aviator, Hugo Cabret, Skyfall) e diretto dall’acclamato regista teatrale Michael Grandage (già direttore artistico della Donmar Warehouse), vincitore di diversi Tony Award e al suo debutto con un lungometraggio, è interpretata da Colin Firth che riesce a trasmettere bene il grigiore e l’anonimia del Perkins uomo, del padre di famiglia assente e anaffettivo, e Jude Law nell’esuberante, strafottente, egocentrico, insicuro Wolfe.

Purtroppo la storia è stanca e prevedibile, accontentandosi forse per timidezza della mano registica di percorrere sentieri battuti invece di provare a sparigliare le carte di un gioco risaputo e prevedibile.

Una sorta di buddy movie con il freno a mano tirato, dove razionalità e cervello prevalgono su cuore ed emozione. Pulito e lindo nella sua realizzazione tecnica ed artistica, la pellicola rimane fredda ed anonima, in cui sembra mancare quello scorrere sanguigno capace di trasmettere calore ed empatia allo spettatore.