La solitudine dell’artista raccontata attraverso un monologo a più voci in un mix di prosa, circo, musica e danza.

Verso la fine del 1956 Jean Genet, discusso scrittore, drammaturgo e poeta francese conobbe l’artista del circo Abdallah Bentaga, figlio di un acrobata algerino e di una tedesca. Ne nacque un rapporto sentimentale in cui il poeta francese cerca di convincere Abdallah, che lavorava come giocoliere e acrobata al suolo, a salire sul filo da funambolo. Lo plagia sino a indurlo a sottoporsi a un estenuante allenamento, fisico e psicologico, dove il filo diviene l’elemento di equilibrio e di sostegno contro la terra vista come instabile e pericolosa: «E’ la terra che rischia di farti cadere, mentre il filo è l’elemento che ti permetterà di rimanere in piedi. Accarezza il filo la mattina, ringrazialo alla sera, accarezzalo prima di riporlo nella sua scatola». Queste le parole ripetute come un mantra al giovane e malleabile artista.

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Andrea Giordana e Giuseppe Zeno

Genet era convinto di aver realizzato con Abdallah, suo doppio narcisistico, una sorta di capolavoro che l’imperizia e la debolezza del ragazzo manda invece in malora; nel febbraio del 1964 Abdallah inghiottisce un barbiturico e si taglia le vene. Sette anni prima Genet aveva scritto per lui e su di lui un piccolo poema in prosa, Il funambolo.

Il testo è un inno all’arte circense, pieno di patos e di rimandi erotici; ma è anche inno alla Morte, vista non come un nemico da combattere ma come una compagna con cui imparare a convivere: «La Morte – la Morte di cui ti parlo – non è quella che seguirà la tua caduta, ma quella che precede la tua apparizione sul filo. E’ prima di scalarlo che muori. Colui che danzerà sarà morto – deciso a tutte le bellezze, capace di tutte».

La messa in scena di Daniele Salvo moltiplica le voci narranti del monologo originario, miscelando arte circense, prosa, musica, danza, videoproiezioni e frammentando i piani narrativi che vivacizzano e forse distraggono un po’ troppo l’attenzione del pubblico dal testo originario. Ne viene fuori uno spettacolo ipnotico, di indubbio fascino illuminato dalla felice scoperta della performance di Melania Giglio che sembra essere uscita da un’opera di Bertold Brecht. Andrea Giordana dona anima e corpo al poeta francese, cantore della vita di strada, autore di drammi ove bene e male si intrecciano e si completano attraverso personaggi ambigui, violenti e a volte corrotti. Giuseppe Zeno è un Abdallah dotato di una forte fisicità a cui si oppone una fragilità psicologica ed emotiva. Applausi convinti finali.

TitoloIl funambolo
AutoreJean Genet
AdattamentoGiorgio Pinotti
RegiaDaniele Salvo
MusicheMarco Podda
SceneFabiana Di Marco
CostumiDaniele Gelsi
CoreografieRicky Bonavita
LuciBeppe Filipponio
InterpretiAndrea Giordana, Giuseppe Zeno, Melania Giglio
Durata75'
ProduzioneTeatro Vascello
Anno2016
Genereprosa e circo
Applausi del pubblicoRipetuti
DanzatoriYari Molinari, Giovanni Scura
In scenafino al 7 ottobre al Teatro Vascello di Roma