Filippo Dini e Giovanni Moschella in una scena dello spettacolo

Il ticchettio di una macchina da scrivere, risate, caffè (duecentocinquant’otto), la luce che va via. Un bicchiere di vino, niente tv. Un maxiprocesso da istruire e, soli, due magistrati, due uomini, due amici. “Novantadue. Falcone e Borsellino vent’anni dopo” di Claudio Fava con la regia di Marcello Cotugno (in scena al Teatro Piccolo Eliseo di Roma) parte dall’estate del 1985 in Sardegna, carcere dell’Asinara e da quelle lunghe giornate passate a preparare il processo che ha dato una svolta nella lotta a Cosa nostra e, in generale, alle mafie italiane.

Filippo Dini e Giovanni Moschella sono i due uomini Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Marcello Cotugno li dirige costruendo attorno una scena scarna, essenziale, così come la loro recitazione che trasforma questa pièce in un pezzo di vita condivisa. Uno scambio fra anime, cercato anche con l’illuminazione a tratti della platea chiamata a una partecipazione emotiva tra esseri umani che ripercorrono un pezzo di strada comune, già vissuta, o, per i più giovani, derivante dal provare lo stesso sentire.

Giovanni Moschella in una scena dello spettacolo

La profonda solitudine di questi uomini, interpretati da Dini e Moschella diventa quindi la solitudine di chi assiste, così come la genuinità della loro amicizia ricorda a chi guarda che dono immenso sia poter godere di un amico. Nel mezzo i fatti, noti, che hanno negli anni trasformato queste due persone in icone, tradendo forse un po’ la realtà delle cose o forse solo dimenticando che furono innanzitutto esseri umani che fecero il proprio dovere. “Io non servo uno Stato immaginario ma questo Stato, così com’è! – risponde Falcone al consigliere istruttore (interpretato dall’ottimo Pierluigi Corallo) – E l’unico modo per servirlo è fare il mio dovere… Come un uomo”.  Su tutto la colonna sonora in cui le note di Nils Frahm si alternano agli archi di Olafur Arnalds, mentre il “The Merola Matrix” di Hugo Race lascia il posto alle canzonette pop del tempo provenienti dalla radio.

Filippo Dini e Giovanni Moschella in una scena dello spettacolo

Solitudine, paura, ideali, dovere, normalità. Stato. “Un pezzo dello Stato mi proteggeva, un altro pezzo mi voleva morto” dichiara Falcone. E, dunque, trattativa. A venticinque anni dagli attentati ai magistrati, oggi più che mai, dopo la sentenza storica dello scorso 20 aprile che ha decretato l’esistenza di una trattativa tra Stato e mafia per fermare le stragi che colpivano l’Italia in quel periodo, è importante ricordare chi ha sacrificato la vita per rendere l’Italia un posto migliore. “Devi amare ciò che vuoi cambiare” sostiene Dini/Falcone in un momento dello spettacolo. E di certo amarono il loro mestiere a tal punto da mettere da parte la paura. Quella paura che ora tutti ricordiamo nella celebre frase di Borsellino: “Chi ha paura muore tutti i giorni, chi non ha paura muore una volta sola”, ma che in pochi riusciamo a non provare permettendole, troppo spesso, di decidere al posto nostro. Per quel “desiderio onesto” di normalità.

TitoloNovantadue. Falcone e Borsellino, 20 anni dopo
AutoreClaudio Fava
RegiaMarcello Cotugno
SuonoGianfranco Pedetti
LuciStefano Valentini
InterpretiFilippo Dini, Giovanni Moschella e Pierluigi Corallo
Durata70'
Produzioneproduzione BAM Teatro in collaborazione con XXXVII Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano e Festival L’Opera Galleggiante
Applausi del pubblicoA scena aperta
In scenain scena al Teatro Piccolo Eliseo di Roma fino al 6 maggio 2018