L’ultranovantenne
Euthalia (Lucia Ragni) si è asserragliata,
con la sola compagnia di un inutile cellulare, nel
cuore della propria casa, chiacchierando con l’invisibile
serva Bimba, polemizzando con l’altrettanto
invisibile fattorino Mariuccio, criticando l’inesistente
scrittrice/vicina di casa, litigando furiosamente
con un l’immateriale Dio.
Una bolletta telefonica non pagata, per un’improvvisa
lacuna, sarà la banale dimenticanza che annuncerà
una drammatica svolta, l’ultima, nella vita
di Euthalia: comprare un telefono cellulare. Da questo
momento, i suoi giorni precipitano verso la morte,
nel caos – sempre più evidente e accelerato
– del presente. Sulla confusione dell’oggi
si erge, intatto, il ricordo di eventi fondanti del
passato: strazi, rancori e la consuetudine alla riflessione.
Confinatasi in casa, Euthalia vive la propria solitudine,
resa più acuta dal silenzio indifferente del
cellulare che ha comprato in sostituzione del vecchio
apparecchio telefonico. L’acquisto, che sulle
prime parrebbe portare una speranza di comunicazione,
si rivelerà l’ennesima irritante lusinga.
Euthalia si lascia morire a tempo di dixieland, si
lascia affogare nel logorroico ‘spiritual’
della banalità e del luogo comune. Una morte
leggera, triste come una canzone troppe volte ascoltata.
Il richiamo a Samuel Beckett è fin troppo evidente:
l’attesa di qualcuno, o qualcosa, che deve arrivare
è rappresentata dal monologo intervallato da
una voce fuori campo che, di volta in volta, impersona
i pochi contatti con il mondo esterno che rimangono
alla protagonista.
La scenografia è equilibrata: l’attrice
al lato del palco e la voce fuori scena dalla parte
opposta; i pesanti drappeggi della casa sono la dimostrazione
di un passato ingombrante, il lungo vissuto di una
donna che sta per morire. In quest’ottica il
leggerissimo e piccolo telefono cellulare rappresenta
il futuro sempre più breve, inconsistente e
triste che l’aspetta. Zero,
zero è testo interessante, ben recitato,
che rappresenta le angosce di un periodo della vita,
la vecchiaia, di cui il mondo moderno, frenetico,
leggero ed illusorio, non accetta l’esistenza.
[jacopo angiolini]