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Autore:
Roberto Lerici |
Regia:
Antonio Salines |
Scene:
Nives Storci |
Luci:
Stefano Valle |
Musica:
-- |
Produzione:
Centro
culturale G. Belli |
Interpreti:
Antonio Salines, Francesca Bianco, Fabrizio Barbone, Gianluca
Pezzino, Mariagrazia Pompei, Caterina Mochi Sismondi,
Manuela Xero |
Anno
di produzione:
2007 |
Genere:
commedia/varietà |
In
scena: fino
al 21 ottobre, Teatro Belli, Roma |
Info:
Teatro
Belli, Piazza Sant’Apollonia 11/a, prenotazioni
06/5894875 |
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Al
Belli è di scena il teatro della vita, fatto
di battute taglienti e momenti di struggente malinconia,
risate volgari, spesso popolari e balletti arrangiati
con le “girls” del momento. In una parola:
il varietà, rappresentato con un testo sintesi
di questo genere e del mondo che vi ruota attorno.
Carlo Emilio Lerici ricorda: “Questo testo fu
commissionato a mio padre, Roberto Lerici, nel 1989
dall’allora direttore del Teatro Stabile di
Roma Maurizio Scaparro. Non andò mai in scena,
poiché alla richiesta di cambiare finale, non
adatto al pubblico del teatro Argentina, Lerici oppose
il rifiuto. Così il testo è rimasto
nel cassetto fino ad oggi”.
Antonio Salines (nel duplice ruolo di regista e attore)
riveste la parte del capo comico, del perno su cui
ruotano gli altri componenti della compagnia teatrale.
A lui si succedono l’immancabile Vedette (Francesca
Bianco), cliché dell’attrice ormai consumata
e indurita dalla vita del palcoscenico, in genere
compagna del capo comico e sul viale del tramonto…
Le si contrappone la Soubrette (Mariagrazia Pompei),
giovane di belle speranze che rappresenta il futuro,
la bellezza e la freschezza che da ormai mancano alla
Vedette. La tradizione (e la natura) vuole che tra
le due alla fine sia la gioventù ad averla
vinta.
In questo caso, invece, Lerici capovolge i ruoli.
Proprio a questo riguardo, Ettore Capriolo ha dichiarato:
“I personaggi di Lerici non raggiungono mai
un livello di lucida consapevolezza, neanche quando
si esercitano a sparare a zero sui simboli più
clamorosi andati a male del vecchio ordine, dall’autorità
del capo-famiglia alle convenzioni sessuali al perbenismo
del linguaggio ai valori con l’iniziale maiuscola.
L’autore riduce e denuncia, smaschera e sghignazza,
ma è anche tormentato dalle stesse ossessioni,
partecipe delle stesse impotenze, soggetto alle stesse
forze. Di qui l’insistenza sul tema e il particolare
atteggiamento con il quale viene affrontato”.
I personaggi sono situati in un ideale limite tra
il Caffè Concerto e il Varietà vero
e proprio, in un’epoca imprecisata che va dalla
fine dell’Ottocento all’ultimo dopoguerra.
Lo spettacolo in scena al Belli è un’idea
trasposta, una metafora.
Le musiche, i costumi, le scene sono tracce appena
suggerite di quel momento teatrale. Sul palcoscenico
la scenografia è semplice ma funzionale: scorrono
diapositive che modificano le ambientazioni. I costumi
sono adeguati alle varie ambientazioni (sketch marito
e moglie, ballerine hawaiane, canzonette, citazioni
dotte del pianista e la figura della spalla) e le
musiche accompagnano le scenette. Un solo dubbio:
che sia finito il tempo del varietà a teatro?
[valentina venturi]
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