Dal
Festival dedicato a Giorgio Gaber che si svolge a
Viareggio, in cui Marcoré canta “Il dilemma”
accompagnato dalla band storica del cantautore milanese,
ai teatri di tutta Italia il passaggio è stato
più semplice del previsto.
Un certo signor G è
la personale interpretazione del repertorio del signor
Gaberscik, dalle canzoni ai monologhi, secondo lo
stile proprio del protagonista in scena, Neri Marcoré.
Sulla scelta hanno avuto un peso significativo la
figlia Dalia Gaberscik e il presidente della fondazione
Gaber, Paolo Dal Bon. Fino al 14 marzo sul palcoscenico
del Teatro Olimpico a Roma si ripercorre la storia
d’Italia e degli italiani, attraverso l’occhio
vigile e puntuale dell’artista milanese scomparso
il 1° gennaio 2003.
“Abbiamo provato a realizzare un progetto –
sottolinea l’attore – partendo da una
passione autentica e seguendo quel filo che secondo
noi lui stesso, insieme al prezioso compagno di scrittura
Sandro Luporini, usava pere cucire i suoi spettacoli”.
Era il 1970 quando al Piccolo Teatro di Milano debuttava
Il signor G. Sul
palco, diretto con semplicità e rigore da Giorgio
Gallione, ci sono le eccellenti pianiste Gloria Clemente
e Vicky Schaetzinger, che eseguono gli arrangiamenti
originali elaborati da Paolo Silvestri e ovviamente
Neri. Il sipario si apre, dei giornali vengono stracciati
e la sensazione è immediata: in scena c’è
un interprete perfettamente entrato nel ruolo. Neri
si muove come Gaber, gesticola con la stessa semplicità
ed a volte modula la voce con lo stesso timbro. Intorno
a lui parenti nere, sedie e tavolini che si trasformano
in pulpiti o zattere.
Dopo l’apertura con “Il signor G. nasce”,
si comincia con “L’ingranaggio”,
tanto per scaldare gli animi e farli scivolare nelle
atmosfere salaci e didascaliche proprie della visione
di Gaber. Tra una canzone e l’altra –
splendidamente eseguite “C’è un’aria”,
“Il dilemma”, “Si può”,
“Io non mi sento italiano” – si
inseriscono i monologhi che hanno segnato la carriera
dell’autore di “Destra sinistra”.
Uno spettacolo ricco di parole, di considerazioni
sempre attuali sulla democrazia, sull’amore,
sul narcisismo, sull’olfatto, sulla proprietà
e sul dolore di vivere. In altre parole sugli uomini.
Lo spettacolo, che poi è sopratutto teatro
musicale e civile, si chiude con “Se ci fosse
un uomo”: la scena, ideata da Guido Fiorato,
si riempie di pannelli raffiguranti un cielo limpido.
Il bis è “La libertà”, canzone
scritta nel 1973. O forse ieri…
[valentina venturi]