“Hai
scritto una bella commedia. Vorrei averla scritta io.
Papà”. Questo il biglietto che Luigi De
Filippo trovò sul copione che aveva fatto leggere
al grande Peppino. I due De Filippo interpretarono poi
insieme la commedia. Era il 1973. Dopo più di
trent’anni Luigi De Filippo torna a proporre al
pubblico romano Storia
strana su una terrazza napoletana, opera
teatrale che all’epoca della prima rappresentazione
lasciò il pubblico stupito, per come criticava
apertamente la famiglia. Il testo è infatti un
corrosivo ritratto dei suoi molti difetti, uno su tutti
l’ipocrisia.
Il sipario si alza sulla terrazza di un attico dove
vive una tipica famiglia borghese. Il capofamiglia è
Federico (Luigi De Filippo), pasticcere in pensione
che cerca di resistere al tempo che passa. Insieme con
lui abitano moglie, figlia, genero, domestica e cane.
I rapporti sono tutt’altro che idilliaci, in particolare
il genero Luciano litiga spesso con i suoceri. Il parente
acquisito, inoltre, fa una rivelazione: il cane Scugnizzo
ha cominciato a “parlargli”, rivelandogli
i segreti inconfessabili della famiglia e del resto
del quartiere, tra cui quelli del parroco.
La commedia si snoda con un ritmo incalzante e piacevole,
con una progressiva e ben sincronizzata esasperazione
dei toni. Quando comincia a rivelare le “confidenze”
ricevute da Scugnizzo, Luciano viene giudicato pazzo,
tutti si sentono messi in pericolo dall’emergere
delle scomode verità. In particolare è
la suocera (un’usuraia tutta fede e preghiera),
a scagliarsi con maggior virulenza contro il genero.
Federico, dal canto suo, cerca di tenere insieme la
famiglia. Ma è lui il primo a sentirsi prigioniero
di rapporti logori. Dice del matrimonio: “Essere
sposati tutta una vita è uno sproposito. Il matrimonio
dovrebbe essere a tempo, cinque, dieci anni. Se ti trovi
bene rinnovi”. E alla fine Scugnizzo (che rappresenta
la coscienza collettiva) sceglierà proprio Federico
come interlocutore privilegiato.
La scommessa di Luigi De Filippo di far riflettere ridendo
è riuscita, come sottolinea egli stesso quando
al termine della rappresentazione, ritorna sul palco
e in un piccolo monologo afferma che questo testo è:
“La vittoria del teatro dei contenuti, sul teatro
delle barzellette”. Al successo della commedia
contribuisce la prova degli attori, apparsi tutti molto
convincenti.
[gianni sarro] |
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