“Sai
cosa è davvero la città di M.? E’ una
mamma... sì, una mamma dura, amara, che solo qualche
volta ti sorride e quando lo fa, tu dici: però, mia
mamma, quant’è bella. Ma poi si gira, ha come
un oscuro pensiero e torna cupa e fredda e fai fatica a pensare
che mai un solo giorno ti ha voluto bene, è tutta presa
dalle sue cose, dal suo lavoro, non ha tempo da sprecare nemmeno
per i figli… che cos’è un sorriso, mamma?
Una mamma che non sorride ai figli è una bastarda!
Mai un abbraccio, mai una coccola, come possiamo crescere
così, come abbandonati, come orfani, come persone che
stanno sotto un cielo di coltelli...”
All’ingresso in teatro ci accoglie una nebbia artificiale.
A Milano debutta un testo su Milano, la nuova regia di Serena
Sinigaglia è un monologo scritto da Piero Colaprico
dove si respira tutta l’aria del capoluogo lombardo.
Il cronista di nera di “Repubblica” parte dalla
sua materia per raccontare la sua città, giudicarla,
indagare i problemi di convivenza in una metropoli multietnica
solo a parole, scavare tra le ansie dei milioni di cittadini
che la percorrono ogni giorno. Colaprico è severo e
pessimista sulla sua città.
Si parte da un duplice omicidio, due cadaveri ritrovati in
due scatoloni in un cantiere nella periferia di Milano, intorno
ad essi si alternano curiose figure. La storia, un noir metropolitano,
è attuale e reale; si dirada insieme alla nebbia che
la incastona. Milano non fa sconti e lo si capisce subito.
La regia stenta, forse si compiace troppo della sua semplicità
e misuratezza, e scompare di fronte ad un testo molto preciso
e un’interpretazione indimenticabile di Arianna Scommegna,
l’unica attrice in scena. Poche le trovate oltre al
bel lavoro sui diversi personaggi.
Scenografia bianca e rossa. La calce del muratore diventa
il rosso sangue dell’omicidio. La colpa sembra data
ai lavoratori extracomunitari irregolari, quelli di cui la
Milano bigotta non conosce nemmeno la storia. Lo spettacolo
ci trasmette anche la fretta della città, la fretta
di far soldi, anche a scapito del prossimo, anche grazie al
lavoro nero.
Il pessimismo sulla situazione della città contemporanea
post Tangentopoli è presente in ogni momento dello
spettacolo, l’ultima frase del monologo ne è
il simbolo: “A Milano non si esiste, si resiste”.
A fine spettacolo, però, viene da pensare: qui la città
di M. respira, è doveroso resistere se la si ama. [simone
pacini]