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Autore:
Stefano
Massini |
Regia:
Sergio Fantoni |
Scene
e costumi:
Gianfranco Padovani |
Musica:
Cesare Picco |
Luci:
Iuray
Saleri |
Produzione
e Compagnia: La
Contemporanea S.r.l. |
Interpreti:
Ottavia
Piccolo, Vittorio Viviani, Silvano Piccardi, Olek Mincer,
Enzo Curcurù, Francesco Zecca |
Anno
di produzione:
2006 |
Genere:
dramma |
In
scena:
26 febbraio 16 marzo 2008 al Teatro Valle |
Info:
Via
del Teatro Valle, 21- 00186 Roma. Tel. 06.68.80.37.94.
Biglietti: Platea/Palco Platea € 30.00; palchi di
I e II ordine € 25.50; palchi di III ordine €
16.00; galleria € 16.00 |
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I
campi di sterminio sono stati liberati. In quello
di Maidenek, in Polonia, c’è uno strano
fermento: all’interno del padiglione 41, dove
si trova il magazzino, un ebreo viene tenuto prigioniero
da un nazista. Dopo un’iniziale incertezza,
si comprende che l’aguzzino è in realtà
un deportato e colui che indossa il pigiama a righe
dei segregati ebrei è un nazista. Cosa sta
succedendo?
A pochi giorni dalla liberazione Elga Firsch (Ottavia
Piccolo), un tempo famosa attrice di origini ebraiche
e ora identificabile solo con il numero B96420, ha
deciso che è giunto il momento di processare
il Creatore. Con anello tenuto nascosto ha comprato
il nazista e ora vuole, pretende, esige un risarcimento
per le atrocità vissute e viste, esige delle
“risposte”. Per ottenerle allestisce un
processo a Dio, al quale partecipano anche il rabbino
Nachman (un misurato Vittorio Viviani), in veste di
difensore, il giovane Adek (Francesco Zecca) smanioso
di vendetta investito del ruolo di scrivano, lo Scharführer
Reinhard relitto del Reich e simbolo di dio e i due
anziani Solomon e Mordechai (Silvano Piccardi e Olek
Mincer), giudici severi e obiettivi. Non sarà
facile mettere sotto indagine dio, ma per dimostrare
la sua colpevolezza e per palesare che l’uomo
è solo uno mero strumento nelle sue mani, Elga
ha pronti cinque capi d’accusa che sembrerebbero
inchiodarlo: li ha ridotti in schiavitù, ne
ha provocato lo sterminio, ha utilizzato i loro corpi
come merce da vendere a peso (capelli, ossa, pelle
e denti dei morti), li ha traditi e, soprattutto,
ha tolto loro l’umanità.
È stato dio o l’uomo ariano che ha scelto
consapevolmente di dimostrare la sua superiorità
sterminandoli? La lucidità e l’energia
del testo sono evidenti: raccoglie la sfida di affrontare
la domanda più irresolubile della storia dell’umanità:
dov’è Dio quando i suoi figli vengono
perseguitati e sterminati? Perché ha permesso
questo tremendo attentato alla sopravvivenza del suo
popolo eletto? Lo spettacolo si snoda in un crescendo
d’intensità che non lascia lo spettatore
senza respiro, imponendogli una riflessione profonda
e angosciante fino al finale, lasciato volutamente
aperto.
L’opera teatrale, scritta da Stefano Massoni,
ha avuto una lunga gestazione. “Ho lavorato
su Processo a Dio –
dichiara il trentaduenne scrittore fiorentino, vincitore
del Premio “Tondelli” nella Rassegna Riccione
2005 con L’odore assordante del bianco - come
forse si lavora ad una statua: ho sgrossato il blocco
di marmo per poi scendere sempre più nel dettaglio.
Sono stato spettatore di ciò che scrivevo e
scrittore di ciò che vedevo scorrermi davanti
agli occhi. Giorno dopo giorno ha preso vita sulla
carta la febbre di Elga Firsch, attrice ebrea di Francoforte
che a tutti i costi vuole Dio alla sbarra”.
In fondo la domanda che l’autore di è
posto e che ha inserito nei dialoghi, “come
un magma” è semplice ma al tempo stesso
devastante: “Se l’uomo è un burattino,
chi lo muove? Quale logica segue il teatrino del mondo?”.
Dalla realizzazione dell’opera si passa alla
versione teatrale. Un passaggio complicato, visto
l’argomento e la difficoltà di interpretarlo
ogni sera con credibilità. La regia di Sergio
Fantoni lascia spazio ai dialoghi serrati: gli attori
sono disposti dentro il magazzino come se fosse un
vero tribunale, schierati ai lati, lasciando al centro
il nazista, simbolo del male umano. E’ la vicenda
a dominare lo spettacolo, la dialettica umana, perché
a suo avviso, “i personaggi del “processo”
erano tutti consapevoli di quello che dicevano e di
cosa parlavano. Non dovevano convincere nessuno, non
temevano sguardi scettici, curiosi ma increduli, non
temevano di essere smentiti: avevano tutti bevuto
lo stesso veleno. Temevano una sola cosa: il ritorno
alla vita di tutti i giorni, a quella vita che poco
alla volta avrebbe cancellato o che non avrebbe più
voluto sentir parlare, sembra assurdo solo pensarlo,
della loro “esperienza”.
La scena è dominata dalla rabbia e dalla voglia
di giustizia di Elga, che presenta prove e rifiuta
mezze verità o pietà inutili. Anche
in questo caso l’interpretazione asciutta, dura
ma vibrante di Ottavia Piccolo permette al pubblico
di entrare attivamente nei dialoghi e nello straziante
dolore che viene descritto. “Elga Firsch - ricorda
l’unica attrice in scena -, con i suoi compagni
di sventura, è l’esplicitazione di tutte
le nostre domande di fronte all’orrore, alla
violenza, al male. È anche una grande occasione
professionale, una sfida”. Probabilmente vinta.
[valentina venturi]
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