Otello
Autore: William Shakespeare Traduzione: Masolino D’Amico
Regia: Roberto Guicciardini
Scene: Piero Guicciardini Costumi: Maurizio Millenotti
Luci: Luigi Ascione Musiche: Giovanni Zappalorto
Produzione: Teatro Sicilia
Interpreti: Sebastiano Lo Monaco, Maria Rosaria Carli, Giacinto Palmarini, Alkis Zanis, Massimo Leggio, Mirko Rizzotto, Amedeo D’Amico, Mimmo Padrone, Giorgio Gallo, Massimiliano Sozzi, Matteo Micheli, Federica Di Martino, Benedetta Borciani
Anno di produzione: 2007 Genere: drammatico
In scena: fino al 16 Novembre al Teatro Quirino di Roma, Via delle Vergini 7, biglietteria tel. 06 6794585

Una delle tragedie più lugubri di William Shakespeare torna in scena al Teatro Quirino fino al 16 novembre. La prima si è svolta in una notte di tempesta: il cupo fragore delle intemperie sembrava scandire la tensione drammatica della rappresentazione stessa.
Composto intorno al 1604, l’Otello è la messa in scena delle debolezze e del dubbio, della inesorabile disfatta dell’umanità in cui tutti sono sconfitti, anche coloro che, come Iago (Giacinto Palmarini) riescono a mettere a punto il proprio riprovevole disegno. Il pubblico elisabettiano apparteneva ad un mondo degradato, la cui mancanza di capisaldi e virtù solide è ancora oggi ben manifestata dalla prospettiva sghemba e ravvicinata delle tavole del palcoscenico.
La regia di Roberto Guicciardini, che si confronta con illustri precedenti quali Orson Welles e la mirabile lettura di Laurence Olivier, abdica alla faticosa rappresentazione in cinque atti snellendo lo spettacolo ed operando degli audaci salti di linguaggio ed inversioni di trama: con la traduzione di Masolino D’Amico, la follia di Otello si palesa dopo l’atroce assassinio dell’eterea Desdemona.
Il testo descrive la tragica epopea del dubbio, ma anche un dramma del linguaggio che si riscontra nei diversi registri linguistici dei personaggi: Otello ha il dono della razionalità, poche parole gli bastano per mettere a tacere le violente rimostranze di Brabanzio: “Mettete via le spade luccicanti, o la rugiada le farà arrugginire”. Iago è turpe e satanico nelle sue grottesche allusioni ad accoppiamenti animaleschi; Cassio (Mirko Rizzotto), il bel sottotenente, è infiorettato e pomposo ma cede alla tentazione della vanità mettendo in mostra le sue conquiste amorose. Desdemona (Federica Di Martino) è pura e virginale, con una sensualità latente che la induce a chiedere indulgenza per Cassio con adolescenziale ingenuità, manifestando la sua inesperienza nei fatti della vita. E ancora Emilia (Maria Rosaria Carli) è la popolana che mai si spaventa della malvagità del marito Iago e regala un’appassionata e strenua difesa della padrona Desdemona.
Interpretare il Moro di Venezia è una sfida per ogni attore che giunge all’apice della carriera e Sebastiano Lo Monaco, nella visione voluta da Roberto Guicciardini, ben si cimenta nella descrizione del generale di colore la cui autorevolezza risiede nei meriti. Otello ha in sé un peccato originale, la sua negritudine, che lo obbliga a mantenere alto il valore delle azioni e del rispetto accordatogli dalla Repubblica di Venezia. Tutti lo temono, se non fosse per la sua carica di passione e le vittorie riportate sarebbe semplicemente il diverso, l’estraneo scomodo di cui diffidare. L’impeccabile personalità ed il linguaggio del Moro nascondono sottotraccia l’ansia della debolezza, che lo porterà a cedere alla gelosia ed alla assurda violenza. Ogni gesto di Lo Monaco sottolinea questa complessa personalità: gli svolazzi delle braccia nell’afferrare un candelabro mettono in risalto la sua buona creanza, così come il truce ed esibizionistico suicidio. Uno spettacolo in cui il dialogo, o meglio il linguaggio come veicolo di comunicazione, ha il ruolo fondamentale di riferire ai posteri l’accaduto. Nel togliersi la vita Otello, rivolgendosi ai testimoni del misfatto ed al pubblico stesso, chiede di essere ricordato come il valoroso generale che divenuto folle si privò dell’amore e della vita stessa. Infliggendosi la morte, dichiara che la vita non gli è più cara per l’orrido gesto compiuto e, sebbene la moralità ci appaia ritrovata e il giusto ordine delle cose ristabilito, la tragedia si chiude con un’angosciante sconfitta dell’umanità caricandosi di significati e problematiche contemporanee, quali il dramma razziale, che certamente sfuggivano all’isolato mondo elisabettiano. [paola di felice]