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Ideazione:
Fumiyo
Ikeda, Benjamin Verdonck, Alian Platel, Anne-Catherine
Kunz, Herman Sorgeloos |
Coordinamento
di produzione:
Hanne Van Waeyenberge, Johan Penson |
Produzione:
Rosas,
KVS, De Munt/La Monnaie |
Interpreti:
Fumiyo
Ikeda, Benjamin Verdonck |
Anno
di produzione:
2008 |
Genere:
teatro danza |
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Nine
Finger,
presentato in prima nazionale a Romaeuropa Festival,
è l’incontro tra due spiccate personalità
artistiche della scena belga contemporanea: la performer
e danzatrice giapponese Fumiyo Ikeda e l’attore
e artista Benjamin Verdonck. I due sono diretti dal
guru del teatro-danza, anch’egli belga, Alain
Platel. Molto probabilmente Platel presta solo il
nome per accrescere l’attrattiva della performance
presentata in giro per il mondo. Si percepisce da
subito che è opera degli altri due. Il loro
approccio è convinto: si presentano in scena
mettendosi a nudo come artisti, davanti a una storia
attuale e drammatica.
Lo spettacolo spiazza lo spettatore: il tema dei bambini
soldato nella Nigeria contemporanea (lo spunto è
il libro Beasts of No Nation
dello scrittore statunitense-nigeriano Uzodinma Ideala),
viene risolto con una messa in scena originale, raramente
proposta sulle scene italiane. Tutto ruota attorno
alla figura di Agu, piccolo africano catturato da
un coetaneo mentre cerca di scappare dagli scontri,
costretto ad arruolarsi ed iniziato all’arte
della guerra attraverso l’esecuzione di un soldato
inerme. A Verdonck, al quale si deve la scelta del
testo, il compito di declamare e impersonificare il
bambino protagonista. La Ikeda invece, con le sue
movenze a scatti e il corpo ossuto orientale, traduce
in movimenti le emozioni che emergono dal testo e
che non possono essere tradotte in parola. La tensione
si percepisce anche se ci sono di mezzo il gioco infantile
e le acrobazie vocali di Verdonck. Si coglie anche
l’intesa fra i due artisti: le urla e le espressioni
gutturali di Verdonck fanno l’assist alle capriole
della Ikeda. Infine, rimane impressa la rabbia nel
raccontare una storia che sanno di non poter modificare
con la loro arte; rabbia espressa con la foga con
cui colpiscono e sbattono a terra il microfono acceso.
Segnali forti, che dimostrano la caducità dell’arte
contemporanea di fronte a drammi insormontabili ed
attuali. Si sa che l’arte non salverà
il mondo: ha senso quindi mettere lo spettatore di
fronte ad una vicenda così disperata, affrontandola
in maniera sperimentale? Forse sì: all’uscita
un’associazione umanitaria raccoglie firme contro
l’utilizzo di bambini nelle guerre, in massa
accorrono a dare il loro contributo.
[simone pacini]
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