Andrea
Muzzi: una faccia da Zelig – la maggior parte
degli spettatori lo ricorda soprattutto per questo
– unita a una faccia da spot. Toscano, occhio
vispo e ammiccante, notevole mimica gestuale, ha debuttato
lo scorso martedì 8 aprile al Teatro Piccolo
Jovinelli con lo spettacolo “Meglio lasciar
perdere”.
Due i personaggi interpretati, gli opposti, la medaglia
e il suo rovescio. Di fondo però un pessimismo
latente, il segno inconfondibile dell’ineluttabilità
della sorte. Dal pulpito si atteggia a “sobillatore”
delle masse; una volta disceso, da umile uomo delle
pulizie, ne diventa parte.
Cos’hanno in comune i due? Molto più
di quel che a prima vista si possa pensare: l’essere
perdenti. Entrambi sanno che l’eterna competizione
sfibra le persone e che il vincente, alla prima sconfitta
si disintegra, perché non è abituato
a perdere.
“Il perdente invece è abituato a cadere
– confessa Muzzi nel monologo – nessuna
sconfitta lo abbatte definitivamente. Nessuna batosta
lo atterra completamente. Il perdente è sempre
pronto a rialzarsi e a combattere di nuovo. Per questo
il perdente è un invincibile. Invincibile è
colui che non riesce ad essere sconfitto. Malgrado
tutte le sconfitte non te lo levi mai di torno”.
Una filosofia interessante, con una sottile carica
pessimistica, che rispecchia il nostro quotidiano.
Gli invincibili perdenti sono il cuore del pensiero
del comico che, con un sorriso amaro, passa in rassegna
i suoi veri eroi. Tra questi Giancarlo Alessandrelli,
portiere di riserva di Dino Zoff. Se il secondo ha
giocato fino all’età di 42 anni senza
mai un infortunio, Alessandrelli è stato “costretto
alla panchina” per 10 anni. “Poi un giorno
– racconta il comico toscano – ha avuto
la sua grande occasione: è entrato in campo
per soli 20 minuti ma ha beccato lo stesso tre goal”.
Un monologo semplice che, soprattutto nelle battute
conclusive, fa riflettere. Chi si aspetta una comicità
figlia di Roberto Benigni ne resterà deluso
perché, a parte le origini toscane, Andrea
Muzzi non tende all'invettiva, ha un’ironia
più dolce e pacata che rende l’intero
spettacolo a tratti surreale. Si ride poco, ma il
sorriso non manca.
[patrizia vitrugno]