|
Autore:
Massimo
Salvianti |
Regia:
Pierpaolo Sepe |
Scene:
Daniele Spisa |
Costumi:
Giuliana Colzi |
Produzione:
Arca
Azzurra Teatro, Teatro Eliseo / Nuovo Teatro Nuovo in
collaborazione con Css Teatro Stabile di Innovazione del
FVG, Teatro Kismet Opera, Mittelfest 2008 |
Interpreti:
Fulvia
Carotenuto, Irma Ciaramella, Emanuela Lumare, Andrea Manzalini,
Marco Natalucci |
Anno
di produzione:
|
Genere:
drammatico |
In
scena:
in turnè |
|
|
Lina
di notte urla. Di giorno va avanti e indietro lungo
la sua stanza e quando il nuovo medico le chiede perché
fa brutti sogni, risponde che non lo sa. E intanto
con una mano tortura il polsino della camicia da notte.
Gesti ripetitivi, ossessivi che segnalano una rabbia
che viene da dentro, da lontano. Lina la notte fa
brutti sogni perché il nuovo medico non le
prescrive più il farmaco che le ha “regalato”
trent’anni di assenza dalla vita, la sua. Ma
perché Lina, ormai sessantenne vive in una
casa di cura per malati psichiatrici? Lo si capisce
gradualmente, nell’alternarsi di presente e
passato. Il regista, Pierpaolo Sepe, utilizza la tecnica,
ormai abusata, del flashback.
Lo spettacolo ha inizio e vediamo Lina intenta nel
suo andirivieni che parla, parla, parla, e il medico
che cerca di aiutarla ad aprirsi. Cambio di luce e
Lina è “serva” nella casa del maresciallo
dove accudisce la bambina di questi, dopo la morte
della moglie. Il maresciallo si caratterizza sin da
subito come un personaggio ambiguo, senza dubbio autoritario.
Ma c’è dell’altro dietro quel suo
cipiglio. Passato e presente hanno in comune le stesse
sbarre, sottolineate dalla scenografia composta proprio
da gabbie e porte da cui il prima e l’ora entrano
ed escono, senza soluzione di continuità.
Il ricordo degli episodi che l’hanno spinta
a uccidere un uomo – il maresciallo –
senza alcuna apparente ragione e a finire in manicomio,
si alterna alla memoria dell’infanzia e dell’adolescenza
trascorse a Napoli nella miseria di un bassofondo.
Non c’è nulla di inaspettato nella messinscena
pensata dal regista, nessun elemento di novità,
nessuna idea originale. La storia segue il suo corso,
senza scossoni: pian piano Lina riesce ad aprirsi
ed entriamo nel suo passato, scopriamo l’amore
che la lega ad un giovane, la disperazione per la
sua morte prematura – ucciso nella piazza del
paese con una pallottola che gli ha squarciato il
viso –, e il trasferimento di Lina a Firenze,
dal maresciallo. Si evince che il rapporto che la
lega alla figlia di lui, Giulia, ha qualcosa di poco
chiaro. E il colpo di scena finale, o meglio quello
che sarebbe dovuto essere un colpo di scena ma che
nei fatti non funziona, incastra tutti i tasselli:
Lina, Giulia e la morte del maresciallo. È
il clou di un dramma che ha tutti i colori del romanzo
poliziesco, nel pieno di una ricostruzione psicanalitica.
Purtroppo per lo spettacolo, però, il regista
consegna il finale senza stupore o depistando lo spettatore.
Nonostante Lina, quella che
fa brutti sogni abbia vinto il premio ExtraCandoni
2007, è sorretto interamente dalla bravura
della protagonista, l’intensa Fulvia Carotenuto,
che dà credibilità al personaggio. Questo
significa che un testo di per sé, se non ha
un adeguato impianto registico, non diventa drammaturgia.
[patrizia vitrugno]
|
|
|
|
|
|
|
|