Al
Teatro Argentina di Roma fino al 20 maggio è
di scena “Les Bonnes” di Jean Genet, forse
il testo teatrale più noto dell’artista
francese. Giuseppe Marini allestisce un dramma a metà
fra la commedia, la farsa, la tragedia greca e la
sacra rappresentazione; ne sconvolge i piani e ne
modifica i punti di osservazione, consegnandoci su
palco tre protagoniste che si trasformano in donne
reali, che occupano uno spazio falsamente vero in
un luogo volutamente teatrale, violando l’orizzonte
d’attesa dello spettatore.
Così lo scarto tra realtà e finzione
è inesistente e si ritrova un po’ delle
“bonnes” in ognuno di noi. Una parte sottile,
nascosta, della quale abbiamo rimosso l’esistenza.
Ma come in un processo catartico riemerge nello spettacolo
di Marini, che ha raggiunto e superato già
le 100 repliche. Un processo messo in moto grazie
alla bravura e alla maestria delle protagoniste, Annamaria
Guarnieri e Franca Valeri, che restituiscono allo
spettatore una verità d’interpretazione
e una vibrante intensità espressiva.
Claire e Solange – questi i nomi delle serve
– tutte le sere ricreano un perverso gioco di
ruoli: quando Madame, la loro signora, interpretata
da Patrizia Zappa Mulas è fuori casa, una di
loro prende le sue sembianze immaginando la medesima
scena che si conclude tutte le sere con l’assassinio
della padrona. Ma il sogno anela a trasformarsi in
realtà: il gioco non è più tale.
Le bonnes preparano una tisana avvelenata per eliminare
la loro odiata signora. Il tentativo fallisce miseramente
e una di loro decide di bere il filtro avvelenato.
Inizia così il monologo struggente e raccapricciante
di Solange. La descrizione minuziosa e spiazzante
del sontuoso e solenne funerale, apoteosi del dramma,
sottolinea, quand’anche ce ne fosse bisogno,
la bravura di una fuoriclasse come Franca Valeri.
Il regista non è nuovo a trovate e colpi di
scena finali che tengono lo spettatore col fiato sospeso,
in una tensione che cresce con l’aumentare della
musica e al dissolversi delle luci. “Les bonnes
sono tornate per parlarci di Teatro - afferma Marini.
Le ritroviamo invecchiate, ancora più illividite
e consumate dalla devozione rovesciata in odio per
la loro Signora, ma fiere della loro degradazione
e decise a viverla fino in fondo”.
Quella realizzata da Marini è una favola nera,
che fa muovere le protagoniste lasciandole in bilico
tra l’angoscia di esistere e la corazza dell’ironia,
in un mondo in cui reale e irreale si confondono e
dove si respira un’atmosfera onirica, da “incubo
magico”.
[patrizia vitrugno]