Qual è il personaggio che interpreta?
Questa volta abbandono i toni della commedia, proposto con
la mia compagnia “Gli uscita di emergenza” (formata
anche da Marzia Turcato e Cristiano Leopardi, ndr), per immergermi
nella vita di Lidia, donna sposata e con una figlia di quattordici
anni. In apparenza sono forte e volitiva, ma andando avanti
con la storia, ci si rende conto che è solo una facciata,
una maschera che uso per proteggermi.
Proteggersi
da cosa?
Sono la moglie di Sesto (Luigi Iacuzio), un impiegato che
per andare al lavoro prende il treno. Qui incontra gente di
tutti i tipi, umanità varia: ne resta ossessionato.
È un uomo insicuro, reso tale dalla madre che non l’ha
mai fatto crescere. Da una genitrice volitiva consegue moglie
in apparenza forte, sicura e superiore. In realtà la
finzione domina la loro vita: lui è un frustrato e
lei una sconfitta dalla vita. Come se non bastasse, fuma.
Il fumo
è un tema importante nella coppia?
È solo un altro elemento di tensione tra i coniugi,
che porterà ad epilogo a dir poco definitivo... Le
due donne più importanti nella vita di Sesto sono accanite
fumatrici, distanti e molto prese dal lavoro.
Cosa l’ha
attratta di questo ruolo?
La disperazione di fondo: Lidia è una donna incapace
di instaurare un rapporto sincero con chi le sta intorno.
La resa del personaggio offre interessanti spunti, tutti da
approfondire. Prima è molto sicura di sé, ben
presto questa solidità si sgretola, trascinandosi nell’isteria.
È tormentata dalla consapevolezza e dalla disperazione
di avere una vita triste. Questo, ovviamente, implica molta
fatica in scena: è impegnativo e insieme stimolante
lasciarsi andare alle sensazioni. La concentrazione deve essere
sempre molto alta.
C’è
un momento in cui si evidenzia il bisogno di rivalsa di suo
marito?
Quando Sesto, profondamente represso, sogna e si abbandona
all’immaginazione. Si vede partecipe di un’orgia.
Tra i vari corpi che si materializzano, ci sono anche quelli
di sconosciute. Per un attrice è una sfida significativa
rendere credibile un momento così intimo. È
una scena forte, corale, ma senza volgarità. Il gioco
di luci aiuta lo spettatore a lasciasi andare.
I dialoghi,
invece, sono serrati?
Molto. È un testo coinvolgente sia per chi lo interpreta
che per chi lo ascolta. Le battute e i piani temporali sono
multipli, si intrecciano e tengono alta l’attenzione.
È un atto unico e in scena siamo in nove: un gran lavoro.
“Ti abbraccio nel buio” tratta di temi attuali,
senza dare giudizi morali. Propone un’immagine della
nostra società, più o meno condivisibile, ma
di certo reale. È come se fosse un monito: “Quello
che vedi può succedere anche a te, ricordalo”.