Di cosa tratta lo spettacolo?
Dell’unione fisica e spirituale tra Arlecchino re dei
Diavoli e la strega bagascia Dame Luque. Partendo da un canovaccio
ispirato ad un favolello della letteratura francese del secolo
XIII dedicato ai riti nuziali, Arlecchino sposa una vecchia
strega. I due emergono dagli inferi per dare libero sfogo
al rito pagano di fertilità propiziatoria, cerimonia
che invita alla gioia dell’unione universale, dal cui
incontro viene assicurata l’abbondanza delle messi e
la fortuna della comunità.
Qual è
la caratteristica dominante?
Direi la circolarità, tipico elemento naturale, che
si tramanda con l’unione tra uomo e donna. Anche per
questo lo spettacolo si chiude con il lancio di arance verso
il pubblico: la frutta è simbolo di fertilità
e augurio di prosperità.
Arlecchino
e Dame Luque cosa simboleggiano?
Amore e odio, la carnevalesca lotta tra i due sessi, che sul
palco viene resa attraverso tre distinti stili recitativi.
La rigida postura della Commedia dell’Arte, con maschera
annessa, apre e chiude la pièce, facendo combaciare
il cerchio narrativo. Al suo interno rivoluzioniamo la tradizione
togliendoci la maschera e utilizzando le variabili interpretative
proprie del Mimo e della Clownerie. È divertente portare
in scena le classiche scaramucce tra innamorati, le avances,
senza mai proferire parola, ma usando solo la nostra espressività.
Non ci
sono dialoghi?
No, diamo libero sfogo all’espressività del corpo
e del viso, attraverso determinati gesti, specifiche mosse
e caratteristiche posture. Sono convinta che lo spettatore
si lascerà coinvolgere dalla nostra recitazione, propria
della tradizione italiana, faticosa ma appagante nel contempo.
Commedia
dell’arte fa rima con divertimento, improvvisazione
e capovolgimento dell’ordine prestabilito. Ci sono momenti
in cui ci si diverte di più?
Tutto lo spettacolo (della durata di un’ora, ndr.) è
un’esplosione di corporeità ed energia. Dovendo
scegliere, direi il momento della clownerie, la parte in cui
con Mario Gallo mettiamo alla berlina gli stereotipi del rapporto
di coppia, del corteggiamento iniziale, dell’approccio
amoroso.
La musica
non poteva mancare in uno spettacolo del genere. Sono a cura
del gruppo Pantarei. Come sono utilizzate?
Danno valore allo svolgimento della vicenda: sono soprattutto
suoni tribali, dominati da percussioni. Insceniamo l’unione
di Arlecchino con una strega, un rito di fertilità,
quindi il ritmo deve dare vitalità, attivare le viscere…
All’inizio invece tendono a creare atmosfere arabeggianti,
per creare nello spettatore una sorta di trance.
Il genere
della commedia dell’arte sta scomparendo. Cosa l’ha
spinta a prendere parte a questo progetto?
Il piacere dell’improvvisazione. Si parte da un canovaccio,
ma poi le espressioni del personaggio escono grazie all’emotività
dell’attore, allo stato d’animo del momento. Si
ride molto, è una festa: cosa c’è di più
bello?