Hellequin et dame Luque - Rosalba Battaglia
[valentina venturi]
Una festa, un rito propiziatorio di fertilità che unisce lo spettatore, Arlecchino e una strega bagascia. Il raro evento è possibile grazie all’espressività e la fisicità proprie della Commedia dell’Arte. Si tratta dello spettacolo Hellequin et dame Luque, in scena sabato 10 novembre alle 21.00 al Centro socio-culturale Tiberio Bartoli (ex Cinema Arianna) – in piazza S. Eurosia di Lariano. Seguirà una tournèe nelle piazze laziali.
L’allestimento è curato da Mario Gallo, uno dei maggiori esponenti nel Lazio della Commedia dell’Arte, formatosi con Marcel Marceau, che con “Teatro Ricerche” porta questo tradizionale genere teatrale italiano in giro per l’Italia. Al suo fianco c’è Rosalba Battaglia, diplomata alla scuola “Scharoff” di Roma ed elemento portante della compagnia teatrale Gli uscita di emergenza con Marzia Turcato e Cristiano Leopardi. Abbiamo incontrato l’attrice, originaria di Palermo, che interpreta Dame Luque.


Di cosa tratta lo spettacolo?
Dell’unione fisica e spirituale tra Arlecchino re dei Diavoli e la strega bagascia Dame Luque. Partendo da un canovaccio ispirato ad un favolello della letteratura francese del secolo XIII dedicato ai riti nuziali, Arlecchino sposa una vecchia strega. I due emergono dagli inferi per dare libero sfogo al rito pagano di fertilità propiziatoria, cerimonia che invita alla gioia dell’unione universale, dal cui incontro viene assicurata l’abbondanza delle messi e la fortuna della comunità.

Qual è la caratteristica dominante?
Direi la circolarità, tipico elemento naturale, che si tramanda con l’unione tra uomo e donna. Anche per questo lo spettacolo si chiude con il lancio di arance verso il pubblico: la frutta è simbolo di fertilità e augurio di prosperità.

Arlecchino e Dame Luque cosa simboleggiano?
Amore e odio, la carnevalesca lotta tra i due sessi, che sul palco viene resa attraverso tre distinti stili recitativi. La rigida postura della Commedia dell’Arte, con maschera annessa, apre e chiude la pièce, facendo combaciare il cerchio narrativo. Al suo interno rivoluzioniamo la tradizione togliendoci la maschera e utilizzando le variabili interpretative proprie del Mimo e della Clownerie. È divertente portare in scena le classiche scaramucce tra innamorati, le avances, senza mai proferire parola, ma usando solo la nostra espressività.

Non ci sono dialoghi?
No, diamo libero sfogo all’espressività del corpo e del viso, attraverso determinati gesti, specifiche mosse e caratteristiche posture. Sono convinta che lo spettatore si lascerà coinvolgere dalla nostra recitazione, propria della tradizione italiana, faticosa ma appagante nel contempo.

Commedia dell’arte fa rima con divertimento, improvvisazione e capovolgimento dell’ordine prestabilito. Ci sono momenti in cui ci si diverte di più?
Tutto lo spettacolo (della durata di un’ora, ndr.) è un’esplosione di corporeità ed energia. Dovendo scegliere, direi il momento della clownerie, la parte in cui con Mario Gallo mettiamo alla berlina gli stereotipi del rapporto di coppia, del corteggiamento iniziale, dell’approccio amoroso.

La musica non poteva mancare in uno spettacolo del genere. Sono a cura del gruppo Pantarei. Come sono utilizzate?
Danno valore allo svolgimento della vicenda: sono soprattutto suoni tribali, dominati da percussioni. Insceniamo l’unione di Arlecchino con una strega, un rito di fertilità, quindi il ritmo deve dare vitalità, attivare le viscere… All’inizio invece tendono a creare atmosfere arabeggianti, per creare nello spettatore una sorta di trance.

Il genere della commedia dell’arte sta scomparendo. Cosa l’ha spinta a prendere parte a questo progetto?
Il piacere dell’improvvisazione. Si parte da un canovaccio, ma poi le espressioni del personaggio escono grazie all’emotività dell’attore, allo stato d’animo del momento. Si ride molto, è una festa: cosa c’è di più bello?