Tornare.
Dal passato, come da un viaggio. Da una persona come da un
luogo. Volver, tornare in spagnolo
appunto, è l’ultimo film di Pedro Almodovar,
il successore del discusso e morboso La
mala education. Alla fine della storia infatti...torna
tutto. O quasi. Commedia dalle mille sfumature Volver
apre ai colori e alle tinte pastello, fa sorridere, ma fa
anche pensare, ci fa aprire il cassetto del passato per ritrovare
fili perduti nella memoria e sensazioni intorpidite.
Raimunda è una donna di paese che adesso vive in città
con la figlia e un marito sbandato. E’ solare, pratica
e molto attenta ai suoi familiari. Ha una sorella, Sole, che
di mestiere fa la parrucchiera abusiva. Diversi problemi,
un omicidio e altre situazioni tragicomiche s’intersecheranno
tra loro, protagoniste svariate figure (sempre al femminile)
saranno coinvolte tra passato e presente, per dar vita a quello
che forse è uno dei migliori film del regista spagnolo.
La pellicola incorona senza dubbio le donne e la loro fragilità,
il sesso (quasi) debole e il loro universo di legami e sentimenti,
oltre alla bellezza “matronale” di Penelope Cruz
che si consacra icona della femminilità spagnola, calda,
forte e sicura. La sensualità dell’attrice iberica,
incrociata con l’altrettanta capacità recitativa,
valgono da sole il prezzo del biglietto. Le curve del corpo
come una strada di campagna, un sentiero in cui perdersi nei
pomeriggi di sole, per le quali sudare anche al solo sguardo
è un peccato che si può non condannare. La Cruz
vista da Almodovar in Volver
è la diretta discendente (caratteriale ed estetica)
di Anna Magnani in Bellissima
(esplicito riferimento nel finale) e della Sofia Loren in
Pane, amore e fantasia, della
donna di paese decisa ma piena di confusione, la figura di
una popolana pratica e scaltra, schietta e realista che trova
nella lotta quotidiana e nel prendersi cura dei propri familiari
il vero senso della vita.
Come scrive Gabriele Romagnoli nel suo ultimo libro Non
ci sono santi riguardo ad una figura maschile ambigua
ma tuttavia positiva che trova una direzione, egli alla fine
“li riporta tutti a casa, al caldo, in salvo”
(racconto n°7, pag. 135). Raimunda nel film è proprio
questo. Persone e personaggi che fanno del loro incedere una
missione inconsapevole, trovando nel sacrificio (in)volontario
la ragione dell’esistere. Poco importa il livello culturale,
l’estrazione o il metodo. E’ il loro stile di
vita a creare bellezza. Questo è il fascino dell’ultima
pellicola dell’autore spagnolo che sceglie le scene
del mercato per gli acquisti gastronomici, i vicoli di una
piccola cittadina come sfondo, il nucleo familiare per raccontare
le vicissitudini quotidiane e una manciata di donne come protagoniste
di piccoli e grandi quesiti esistenziali. Come a ricercare
la semplicità e la periferia dei grossi rumori, aspirando
al silenzio, la pace e i colori tiepidi. La mdp parla con
le immagini: scorci lenti sulle stoviglie, sugli oggetti di
uso comune, sui patii fatiscenti delle abitazioni, sui vestiti
leggeri a fiori, sulle ciambelle con lo zucchero. Sembra tutt’una
poesia, ricordando qualche verso di Guido Gozzano che faceva
di pentole e cucine un lirismo d’altri tempi. Al film
sembrano mancare gli odori per chiudere il cerchio e inalare
gusti che la sala cinematografica per volontà della
tecnica ancora non riesce a regalare.
La vita e la morte si rincorrono per tutto il film, giocano
a nascondino dietro le persone, tra fantasmi e morti apparenti,
tra giochi e scherzi del destino. Prima o poi una delle due
avrà la meglio e la moneta avrà un volto. La
pellicola è attualmente in concorso a Cannes, tiferemo
anche per lei, nonostante il nazionalismo ci porti verso Moretti
o Sorrentino. Gridare un Forza Espana alle porte del Mondiale
di calcio tedesco sarà credo perdonato, considerando
poi che il nostro sport nazionale sta pian piano affondando
nell’illegalità e il pragmatismo mentre il costante
splendore che il futbol iberico da sempre regala non è
mai calato. Almodovar quindi non come Ronaldinho forse, ma
come un emozionante centrocampo a rombo, che regala tocchi
di prima e apre sulle fasce. Volver,
alla fine del torneo, sono sicuro, riceverà applausi
a scena aperta. Tifiamo per le cose belle, sosteniamo alcuna
bandiera se non quella che ci sopravvive ai secoli in divenire.
Vincere non sarà necessario.
[alessandro antonelli]