Ispirato
ad una storia vera, quella di Gustave raro esemplare di coccodrillo
lungo circa 6/7 metri dal peso di una tonnellata colpevole
secondo le autorità locali della morte di almeno 300
persone, avvistato nelle acque torbide e paludose della riviera
di Rusizi, al confine tra Burundi e Congo. Numerose spedizione
a carattere scientifico, televisivo-documentaristico e di
bracconaggio hanno cercato di documentare il “mostro”
finchè questo non è scomparso misteriosamente
così come venuto. Leggende parlano di una sua cattura
e della vendita delle sue preziose carni ai ristoranti della
zona.
Dalla realtà alla finzione. Paura primordiale parte
infatti dalla caccia al mostro organizzato da una rete televisiva
americana al mostro Gustave, colui che regna nelle acque secondo
la popolazione locale, per finire ad essere cacciati dal piccoloGustave,
il più potente dei signori della guerra del Burundi,
colui che regna sulla terra e che probabilmente ha provocato
più morti del suo omonimo animalesco. L’eterna
lotta tra uomo e natura, tra il predatore più famelico
contro il mostro da lui stesso creato – i corpi degli
uomini, vittime delle guerre civili in corso, gettati nelle
acque dei fiumi hanno abituato altri predatori alla carne
umana. Da qui un nuovo esemplare di mangiauomini dopo i vari
squali, anaconde, dinosauri ed un nuovo capitolo su una delle
paure ataviche dell’uomo, la fagofobia, la paura di
mangiare o essere mangiati.
Ma la commistione tra l’elemento thriller-horrorifico
associato al coccodrillo e quello politico di denuncia affidato
al piccolo Gustave, non si realizza in modo equilibrato e
verosimile. Tutt’altro. I due tratti rimangono divisi
in modo troppo netto, meccanico, forzato per essere pur lontanamente
verosimile, sicchè la convivenza delle due anime in
un solo corpo creano una sorta di corto circuito narrativo.
La solida regia di Michael Katleman, a cui va il merito di
costruire almeno una paio di sequenze ben riuscite dosando
al giusto l’elemento splatter che piacerà agli
appassionati con schizzi di sangue che vanno a colorare di
rosso emoglubinico la calda fotografia di Edward J. Pei, non
fa altro che percorrere strade risapute e poco originali,
trasmettendo un senso di noia e pigrizia creativa da superare
solamente cercando di indovinare l’ordine in cui i vari
personaggi finiranno nelle fauci del famelico predatore. [fabio
melandri]
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