Ancora
un film sulla solitudine, ancora un film sull’inseguimento,
ancora un film sull’impossibilità di amare. O
meglio di odiare. Dopo La spettatrice,
in cui una sfortunata Bobulova inseguiva quello che si era
illusa potesse essere l’amore della sua vita, in Nessuna
qualità agli eroi Franchi torna nell’angusto
terreno del sentimento soffocato e scava a fondo per riuscire
a trovare risposte che forse neanche ci sono. Attraverso il
doppio binario delle vite parallele di Luca, giovane figlio
di un usuraio, e di Bruno, assicuratore indebitato fino al
collo e in crisi coniugale.
Un noir esistenziale come lo definisce lo stesso Franchi.
Nebuloso ed ermetico, complesso e stratificato. Senza vie
d’uscita. Come era anche il destino della spettatrice
del suo primo film. Luca è il nuovo spettatore di Franchi.
Segue come un’ombra Bruno, lo spia, lo conosce, sa tutto
di lui. Mentre Bruno vive la sua vita ignaro di essere l’oggetto
dei “desideri” di qualcun altro. Accomunati dalla
stessa dimensione filiale (sia Bruno che Luca sono figli che
odiano il proprio padre) Bruno e Luca percorrono strade diverse:
il primo è sposato e vuole a tutti i costi un figlio,
Luca ha una relazione ma non riesce a vivere serenamente la
sua libertà. Il malessere di una mancata appartenenza
allo status sociale che li circonda li rende però simili,
quasi fratelli. Bruno sa di essere destinato a restare figlio
per sempre essendo sterile, Luca non può liberarsi
dell’ingombrante figura del padre se non uccidendolo.
Il loro fallimentare modo di essere è intercambiabile
nonostante le apparenze. Apparenze che possono nascondere
i tormenti sotterranei che albergano le loro anime. Ma non
per sempre. Prima o poi le correnti incontrollabili che agitano
il fondo del fiume risalgono in superficie. Prepotentemente.
E le conseguenze non possono che essere imprevedibili.
Disarmante, sospeso, fin troppo cerebrale. Un abisso di cuori
infranti alla ricerca di risposte definitive. Risposte che
non ci saranno mai. Con pudore ci si avvicina al dolore di
queste marionette soffocate dalla loro solitudini. Che non
trovano spazio nel palchetto di questa disperata pantomima.
E inevitabilmente cadono a terra. Senza riuscire a salvarsi
dal vortice depressivo che li attanaglia. Dalla solitudine
opprimente. E neppure da se stessi. [marco
catola]