Dopo il
trascurabile Perduto amor, vincitore
a sorpresa nel 2004 del nastro d’argento come migliore
esordio, Battiato ci riprova e con la complicità dell’amico
e filosofo Sgalambro, da tempo suo collaboratore ed autore
di molti testi delle sue canzoni, mette in scena gli ultimi
due anni della vita del compositore Ludwig Van Beethoven,
visti da una prospettiva insolita: nel 2005 un’autrice
tv, solitaria e schiva, ossessionata dalla figura del grande
musicista tedesco e affascinata dal mondo dei sogni, rivive,
sotto ipnosi regressiva, le vicende di una (presunta) vita
precedente in cui era un principe amico e mecenate di Beethoven.
Tra sogno e realtà un film davvero spiazzante, a tratti
imbarazzante, che lascia ammutoliti di fronte ad una completa
mancanza di coerenza narrativa. Manca tutto. Manca la sceneggiatura,
la direzione degli attori, la regia, il cuore. Non basta parlare
di anima per possederne una.
Dispiace vedere un maestro della musica sempre all’avanguardia
come Battiato ridotto a non sapere come e cosa raccontare.
I due diversi registri tecnico-narrativi sono pretestuosi
e sconclusionati, l’ambivalenza ironica da commedia
in costume si sovrappone al pretenzioso anelito misticheggiante.
La presenza del maestro illuminato Jodorwsky, che interpreta
un esagitato Beethoven, confonde solo le idee a chi si è
premurato di non guardare il film con sguardo prevenuto. La
coppia Gifuni-Bergamasco è da sfinimento dei nervi
così come tutti i camei radical chic (a partire dalla
Cescon fino ad arrivare alla figlia di Muti e allo stesso
Sgalambro).
Presentato nella sezione Orizzonti al Festival di Venezia
2005, ha quasi ricevuto più fischi e risate del terribile
Ovunque sei di Michele Placido
dell’anno precedente.
[marco catola]