La statuetta
dell’Oscar per il miglior film di animazione, se la
contenderanno quest’anno un mago che vive all’interno
di un castello viaggiante (Il castello
errante di Howl), una sposa cadavere in una storia
tra il mondo dei vivi e quello dei morti (La
sposa cadavere) e un curioso e stralunato inventore,
con un debole per il formaggio ed i maglioni fatti a mano,
in compagnia del suo fido e silente collaboratore, Gromit.
La coppia protagonista sino ad oggi di cortometraggi, per
altro già premiati alla notte dell’Oscar (I
pantaloni sbagliati, La tosatura
perfetta) fa il suo debutto nel lungometraggio con
La maledizione del coniglio mannaro,
amorevolmente seguiti e curati dal loro padre putativo Nick
Park, genio dell’animazione inglese.
Per chi non li conoscesse ancora, Wallace e Gromit si cimentano
in grottesche avventure in plastilina, condite da un umorismo
che trova le sue origini nei classici del cinema muto, da
Charlie Chaplin per l’inusuale utilizzo che fanno degli
oggetti di uso comune e che si riverbera soprattutto in Wallace,
a Buster Keaton per quella comicità melanconica, per
l’essere comico dalla faccia triste di Gromit.
In questo primo lungometraggio, la nostra coppia di eroi dovranno
difendere la loro comunità e soprattutto i di loro
ortaggi da una enorme, misteriosa e devastatrice bestia che
rischia di mettere in pericolo l’annuale Fiera dell’Ortaggio
Gigante. Su una trama che assomiglia più ad un pretesto
che non ad una storia di senso compiuto, perdendo su questo
piano il confronto con La sposa cadavere
ed Il castello errante di Howl,
Nick Park innesta una serie di invenzioni, citazioni e divertissment
che sono una gioia per grandi e piccini, verso i quali il
film è decisamente pensato. L’atmosfera conandoyliana
miscelata a omaggi verso i classici cinematografici di tutti
i tempi (King Kong come gli horror
della Hammer) mantengono il film ad un buon livello nella
resa cinematografica, mentre l’attenzione dello spettatore
è letteralmente catturata dalla maestria e stupefacenza
dei suoi realizzatori. Purtroppo il film dopo circa un’ora
inizia a perdere di ritmo e mordente. Svanita la sorpresa,
acchetata la meraviglia, la risibilità dello spunto
narrativo viene alla luce mostrando piccole crepe e segni
di stanchezza e ripetitività. Probabilmente, le avventure
dei nostri si adattano meglio al formato corto, come è
accaduto in passato ad un altro rappresentante della comicità
inglese quale Mr Bean. [fabio
melandri]
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