“Fuoco
su di me” è il teatrale ordine che Gioacchino
Murat Re di Napoli nel 1815 diede contro se stesso, una volta
perso il Regno e messo ai ferri, davanti al plotone di esecuzione.
Inizia dall’epilogo l’omonima opera seconda del
regista Lamberto Lambertini (Vrindavan
Film Studios) che esce nelle sale cinematografiche
dopo 9 anni di lavorazione e difficile gestazione.
Siamo nei primi mesi del 1815. Napoleone è Re e prigioniero
nell’Isola d’Elba. Il Congresso riunito a Vienna
intende rimettere sui troni d’Europa le dinastie spodestate
dalla rivoluzione. A Napoli regna Gioacchino Murat, messo
sul trono da Napoleone in parte per meriti di battaglia, principalmente
perche marito della di lui sorella, Carolina. Di fronte alla
prospettiva di lasciare ad altri la decisione del suo destino/destituzione
a favore del ritorno a Napoli di Ferdinando di Borbone, Murat
decide di dare corpo al sogno di unificare l’Italia
sotto un'unica bandiera, ponendo Napoli come Capitale. Un
sogno che Murat ritiene condiviso ed appoggiato dagli stessi
napoletani, ma quando il popolo non risponde e la sconfittta
militare di Tolentino si materializza, la caduta del soldato
- Re sarà tanto inevitabile quanto fragorosa.
Il periodo storico che fa da sfondo, da quinta scenica, a
Fuoco su di me è assolutamente
interessante anche per capire il quotidiano che stiamo vivendo;
ma vuoi per mancanza di una vera tradizione di cinema storico
italiano, vuoi per budget limitato, il film ripiega velocemente
sulla sfera privata, narrando il difficile rientro a Napoli
del giovane Eugenio dopo anni di lontananza in Francia. Ferito
in combattimento, durante la lunga degenza si dedica alla
lettura ed alla scoperta dell’altro mondo possibile,
dove un più diretto contatto con il mondo della natura
(le notti passate in barca a pescare, le passeggiate nei campi)
e con la dimensione spirituale dell’esistenza, prendono
il posto delle rigide norme militari, delle battaglie e dei
giochi politici. Il tutto condito dall’amore impossibile
con una giovane di Procida che come Virgilio con Dante, guida
Eugenio all’interno di questa nuova dimensione.
Il film nel suo complesso stenta a decollare, appesantito
da dialoghi letterari e da una messa in scena elementare che
si affida in maniera troppo insistita alla narrazione verbale
piuttosto che al racconto per immagini. I fondali dipinti
degli interni, la recitazione approssimativa ed incolore del
protagonista Massimiliano Varrese (Velocità
Massima al cinema, Grandi Domani
e Carabinieri in tv) accanto
al contributo gigionesco e logorroico di Omar Sharif, completano
il nostro giudizio negativo su una pellicola che risulta di
difficile digestione e che ricorda sin troppo da vicino la
medietà di molta fiction nostrana presente quasi ogni
sera sugli schermi televisivi.
[fabio melandri]