Una calda giornata d’estate del
1935 in una villa aristocratica nella campagna inglese. Gli
echi della guerra imminente di Hitler nel continente giungono
tra discorsi oziosi e rilassati. La guerra come opportunità
economica, un modo come un altro per far soldi. Hitler e i
suoi progetti sono affari che si discutono nei parlamenti,
dove si specula sulle vite umane. Hitler e la guerra non sono
la catastrofe, sono noiose notizie che riguardano Londra e
le alte sfere. Briony è una ragazzina di tredici anni,
dall’immaginazione fertile, chiusa in se stessa, una
creatività a getto continuo che la porta a confondere
la realtà con la fantasia, la verità con la
bugia, il bene con il male. Ma nessuno se ne preoccupa. La
coccolano e la soffocano di attenzioni, come si fa con un
parente un po’ sciocco, che non vive con i piedi per
terra. Gli adulti si sentono in colpa e le permettono di giocare
con le parole e con la scrittura.
Giorno di rappresentazione nella villa. Briony ha appena finito
la stesura di una sua commedia ingenua e romantica sul tema
dell’amore ideale. L’allestimento è in
onore del fratello di ritorno da Londra in compagnia di un
suo amico che ha ottenuto una commessa milionaria per l’esercito
di barrette di cioccolato in vista di una guerra auspicabile
in Europa. Briony è segretamente innamorata del fratello
e la sorella Cecilia più grande ed eccentrica che ha
il volto inquieto e spigoloso di Keira Knightley, musa di
Joe Wright fin da Orgoglio
e Pregiudizio, si spinge con qualche
battuta di troppo verso Robbie Turner il figlio della governante.
Briony diventa testimone della loro passione, ne rimane turbata
e mette in moto un meccanismo di colpe e accuse che prima
infangheranno e poi distruggeranno il giovane amante e l’intera
famiglia.
Alla seconda prova di respiro internazionale Joe Wright dopo
Orgoglio e Pregiudizio
si conferma regista talentuoso per il
grande pubblico. L’adattamento dal romanzo di McEwan,
ha un grande merito e lo si deve alla penna di Cristopher
Hampton drammaturgo di razza, vincitore tra l’altro
dell’oscar per Le relazioni pericolose e autore di altre
trasposizioni cinematografiche come Il
console onorario e Un
americano tranquillo (non la
versione di John Ford, ma quella più recente di Philip
Noyce). Hampton sa come leggere un romanzo, indovinarne le
potenzialità, compattare gli innumerevoli episodi per
darne ancora più forza. Hampton taglia dove c’è
da tagliare perchè sa dove vuole arrivare. In un film
maestoso e “largo” come questo è necessario
capire le finalità profonde, trasmettere il tema principale
e non distrarsi dai sottotemi che rischiano di fagocitare
l’unità narrativa ed emotiva. La costruzione
di McEwan è indubbiamente originale.
Diviso in tre parti non uguali, il racconto si dipana lungo
un arco di tempo esteso che coinvolge più sottotrame
e numerosi personaggi. La prima parte è la cronaca
minuziosa e dettagliatissima di una giornata che deciderà
il destino dei protagonisti. Una tensione continua che non
lascia respirare per oltre un’ora, in attesa di un evento
catastrofico che culminerà con un trauma dal forte
impatto emotivo. Costruita secondo lo schema del sassolino
nello stagno, per cui da un piccolo equivoco se ne scatenano
altri di sempre maggiore intensità fino alla deflagrazione
del climax, la prima parte di Espiazione è
un manuale di regia, montaggio, recitazione e sceneggiatura.
Non c’è nemmeno un’inquadratura in più,
tutto è necessario e inchioda lo spettatore provocandogli
una serie di riflessioni sulla moralità e sull’etica
dei rapporti umani come non se ne vedeva da tanto tempo al
cinema. Dopo una prima parte cos“ potente, il film inevitabilmente
cala. Cala di tensione e di qualità. I protagonisti
invecchiano, cambiano e con essi anche l’incanto che
ne aveva determinato il fascino. Collocare un climax a metà
film è una scommessa azzardata. Ne comporta che sappiamo
tutto quello che c’è da sapere dei personaggi.
Il loro arco narrativo è completato. Qualsiasi cosa
essi facciano non ci dirà più nulla della loro
personalità e del loro carattere. La seconda parte
è lo sbando più totale. I personaggi fluttuano
senza una vera direzione e precipitano e si avvitano nelle
loro colpe. Tutto ciò è voluto e reso benissimo.
Lo sfondo è la guerra. Dal microcosmo di una famiglia
aristocratica al macrocosmo dei destini di interi popoli.
Il piano sequenza apocalittico e allucinato sulla spiaggia
di Dunquerque in cui l’esercito inglese aspetta la marina
per tornare a casa è la rappresentazione cinematografica
migliore per tradurre lo sbando in cui si muovono i personaggi.
Espiazione è
un tentativo abbastanza riuscito di coniugare il cinema hollywoodiano
dai grandi incassi con l’alta letteratura. Ne sconta
i difetti di una tale operazione in un epilogo farraginoso,
sprecando tutto ciò che di buono aveva lasciato intendere
nella prima parte. [matteo
cafiero]