In
Ciad la guerra civile ha seminato morte e distruzione. Ma
la cosa peggiore è che i veri responsabili, chi ha
ucciso, stuprato, rubato è ancora libero in mezzo alla
gente comune. Le vittime di ieri sono i diseredati di oggi.
I carnefici di ieri sono le persone di potere di oggi. Non
c’è stata giustizia. E forse l’unico modo
per ottenerla è prendersela da soli. Atim ha 16 anni.
E’ orfano. La guerra gli ha portato via tutto. Spinto
dal nonno, l’unico rimasto in vita della sua famiglia,
decide di vendicare la morte del padre, assassinato qualche
anno prima. Conosce l’identità dell’assassino,
si chiama Nassara ed è un criminale di guerra. Pistola
alla mano, decide di raggiungerlo nel villaggio in cui vive.
Oggi si è ricostruito una vita: fa il panettiere, ha
una moglie e una ferita alla gola gli impedisce di parlare.
Atim riesce a farsi assumere come garzone ed entra nelle sue
grazie. Riesce ad avvicinarsi sempre di più al suo
obiettivo ma tra i due si instaura uno strano rapporto: Atim
ritrova in lui la figura paterna che gli è sempre mancata,
Nassara lo vede come un figlio e lo vuole adottare. La sete
di vendetta sembra placarsi ma di fronte alla giustizia non
ci si può e non ci si deve fermare…
Daratt non è un film sulla
guerra ma su tutto quello che ne segue. Rovine, crimini impuniti,
ingiustizia, povertà. Si può continuare a vivere
fianco a fianco con le stesse persone che hanno sterminato
la tua gente come se niente fosse? Com’è possibile
restare impassibili di fronte all’impunità? Ci
si deve rassegnare o si ha il diritto/dovere di farsi giustizia
da soli? In Ciad, come in altri Paesi del mondo, alla fine
della guerra c’è stata un’assoluzione di
tutti i crimini. Ogni atrocità è stata legittimata.
Non c’è quiete dopo la tempesta. E se c’è
è solo apparente. Il fuoco arde sotto le ceneri. Pronto
a riemergere inaspettato e pericoloso. Ma sono più
di 40.000 le persone morte o scomparse. Non c’è
chiarezza. Daratt
vuole fare chiarezza, vuole solo raccontare tutto questo,
attraverso l’ambiguità degli affetti, l’immoralità
dell’amore, il paradosso della vita. Vittima e carnefice
si incontrano per una resa dei conti. Ma chi è davvero
l’uno e chi l’altra? I due vivono come in una
sospensione spazio-temporale: Atim vuole vendicarsi ma ancora
di più vuole un padre, Nassara vuole un figlio (la
moglie incinta ha avuto un aborto spontaneo). L’attesa
della vendetta si confonde con l’aspirazione dei sensi.
Una situazione paradossale che finisce per essere altrettanto
reale. La congiunzione di due solitudini in un mondo senza
pietà. Che ricorda in senso inverso la situazione sospesa
di Il figlio dei fratelli Dardenne.
Sublimandone il significato. Qui tra i due si intravede all’orizzonte
uno spiraglio di luce. Come a dire che si può andare
oltre la sofferenza, l’odio e la vendetta. E spingersi
fino alla convivenza. Con connotati impensabili, nuovi, ultramoderni.
Chissà… Il cinema a volte serve anche a questo.
A dare una speranza. Tocca poi a noi coglierla nel modo opportuno.
[marco catola]