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scuola di regia con Giuseppe Bertolucci
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[simone
pacini] |
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Quello che segue è il resoconto
di un laboratorio tenuto da Giuseppe Bertolucci con
circa 20 studenti che frequentano il secondo anno del
Corso di Laurea in ‘Progettazione e gestione degli
eventi e delle imprese dell'arte e dello spettacolo’
della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università
di Firenze. Il laboratorio si è svolto presso
il Polo universitario di Prato, dal 9 al 24 Aprile 2003.
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La formazione e l'apprendistato
La prima riflessione di Giuseppe Bertolucci ha riguardato il
passaggio dalla forma scritta, che nasce da un problema di attenzione
ed è intesa come una forma di riflessione, a quella orale.
Il compito del poeta e del regista, ha affermato, è quello
di "rovesciare il tavolo".
Il regista ha avuto negli anni due funzioni fondamentali, una
è stata compiere una evoluzione del cinema trasformandolo
da "fenomeno da baraccone" a processo di narrazione
del racconto, l'altra ha riguardato una evoluzione dell'organizzazione
e della divisione del lavoro. "I primi registi erano bricoleur"
in quanto facevano quasi tutto da soli.
Nel periodo di formazione del Bertolucci regista è da
sottolineare l'importanza della figura del padre Attilio, poeta
di spessore; un intellettuale con intimi rapporti con personaggi
illustri del tempo come Carlo Emilio Gadda e Pier Paolo Pasolini.
Il padre è stato una figura illuminante per Giuseppe,
il suo primo narratore di fiabe. Giuseppe era il personaggio
delle poesie di Attilio. Questo fu da subito una dimensione
fondamentale per la ricerca di una propria espressione. Il padre,
come "giudice estetico supremo", gli dette un'educazione
all'espressione come valore assoluto, contro o al di là
della comunicazione. L'espressione è diversa dalla comunicazione,
questo credo è uno dei motivi della difficoltà
del rapporto fra Giuseppe e il grande pubblico. ‘Credo
che il dato che contraddistingue meglio la mia filmografia,
dall'inizio della carriera ad oggi, sia una specie di vocazione
costante che io definisco “marginalità consapevole”.
È una delimitazione di territorio, l'accettazione di
confini ben precisi dentro i quali esercitare la propria pratica
creativa’ ha affermato in un' intervista.
Il regista parmense dichiara che l'espressione è frutto
dell' "io", mentre la comunicazione comprende l' "io"
(che si divide in "io conscio" e "io inconscio")
e gli altri. Il processo creativo parte quindi dall' "io
inconscio", passa per l' "io conscio", prosegue
attraverso l'immaginario, quindi diventa un sistema di segni
(diretti, simbolici, arbitrari, complessi) che porta al conscio
dell'altro per arrivare, alla fine del percorso, all'inconscio
dell'altro. A tutto questo si sommano le differenti culture,
religioni e i valori morali ed estetici dell'individuo.
Bertolucci, introducendo il suo modo di vedere l'arte della
regia, individua tre presenti per un film: il presente delle
riprese, il presente del racconto e il presente della produzione.
Cinque sono invece le scritture di un film: la sceneggiatura,
la preparazione - "il luogo che diventa luogo" -,
il momento del "decoupage" (termine francese che significa
dividere in piccoli pezzi attraverso il taglio e il ritaglio),
il momento delle riprese ed il montaggio.
Tra il 1969 e il 1977 si colloca la fase di apprendistato, in
questi anni Bertolucci fa l'aiuto-regista in due film di suo
fratello Bernardo: La strategia del ragno
(1970) e Novecento (1976).
Quello dell'aiuto-regista è un ruolo importante di sostegno
alla regia, che ha il compito di fare lo spoglio del film, stabilendo
i fabbisogni, il cast ed il controllo dei reparti, tramite indicazioni
e un piano di lavorazione. Il piano di lavorazione prevede la
verifica dei tempi (e la risoluzione di eventuali problemi),
la funzione di fare da terminale, filtro psicologico per le
tensioni e le incomprensioni (un lavoro di "coagulazione"
della troupe), la direzione delle comparse e delle masse.
Tra gli altri ruoli che lavorano dietro un'opera cinematografica,
fondamentale è la figura della segretaria di produzione,
che ha il compito di stabilire il "timing", la "continuity"
del film (l'attenzione per gli oggetti, gli arredamenti, i costumi),
la sintassi dell'inquadratura, la divisione del film per inquadrature,
e di redigere il diario di produzione (che è uno strumento
importante a livello legale).
In Novecento Giuseppe lavora anche alla sceneggiatura insieme
a suo fratello Bernardo e a Kim Arcalli. La sceneggiatura, prosegue
il regista parmense, ha un uso conoscitivo, un mercato ("la
praticabilità del prodotto"), un uso produttivo
e uno creativo. Un'altra sua funzione è lo spoglio delle
azioni che portano al piano di lavorazione. I momenti della
sceneggiatura sono: l'idea, il soggetto (la struttura narrativa
essenziale), il "treatment" (un film già delineato
scena per scena ma senza dialoghi) e la sceneggiatura vera e
propria (con i dialoghi e i modi di ripresa).
Il film non è la sua sceneggiatura, la quale ha come
requisiti la struttura narrativa (senza contraddizioni), la
precisazione dei personaggi e i dialoghi. È inoltre divisa
in scene, specificando gli ambienti e le indicazioni temporali.
I rischi della stesura di una sceneggiatura sono quello di "scrivere
belle frasi ma intraducibili", quello di "fare una
narrazione teatrale" (drammaturgicamente troppo forte)
e quello di "fare una previsione totale". La sceneggiatura
è però il "momento cruciale del metabolismo
creativo".
Infine Bertolucci accenna alle tecniche di regia per girare
di notte: la notte "a cavallo", che viene girata al
crepuscolo, e la notte "americana", girata di giorno.
I "comici
del disagio"
Il rapporto tra Giuseppe Bertolucci e Roberto Benigni nasce
nel periodo del teatro d'immagine, a Roma nel 1975, grazie
al monologo Cioni Mario di Gaspare fu Giulia. Questo spettacolo,
che è un esperimento di "imbalsamazione totale
dell'attore", vede Benigni-attore nel ruolo del paziente
e Bertolucci-regista in quello del terapeuta. Bertolucci farà
solo monologhi in teatro, indagandosi se questa forma sia
la massima espansione teatrale o un "non-teatro".
Benigni metteva in scena racconti di vita quotidiana attraverso
un personaggio "fool" del sottoproletariato pratese
con l'idea del sogno consumistico e con una madre cattiva
e punitiva.
Quello di Bertolucci e Benigni è un teatro di parola,
comico, basato sull'attore, che si opponeva fortemente al
teatro di avanguardia romano degli anni Settanta e che poneva
l'attenzione sul dialetto toscano. Cioni Mario ebbe rapidamente
un forte successo. In seguito la coppia fece, in Rai, l'esperienza
di Televacca, un programma "contadino-surreale",
per poi approdare a Vita da Cioni, una fiction mista tra pessimismo
e umorismo con tre monologhi di Benigni.
Questa esperienza porterà i due al tono comico-tragico
di Berlinguer ti voglio bene
(1977) primo lungometraggio di Benigni attore e di Bertolucci
regista. Le caratteristiche e i temi di questo film sono:
la lingua toscana, l'ambientazione sottoproletaria e la disoccupazione,
il suono in presa diretta (una novità per quegli anni),
una cultura familiare arcaica e l'utopia comunista.
Berlinguer ti voglio bene vede il paesaggio protagonista,
"tra idillio contadino e prime industrie", non è
un film politico ma un film "a tesi". È importante
il dato antropologico che si evince, che cerca la complicità
del pubblico. "Un piede nel medioevo, uno nel consumismo
e uno nel comunismo" afferma Bertolucci.
Riprendendo il tema del suono diretto, parla della legittimità
del doppiaggio, una "simulazione" che però
offre la possibilità al pubblico di ben comprendere.
A tale proposito cita la corrente favorevole al sottotitolaggio,
che genera un valore estetico, comprensiva di artisti e addetti
ai lavori, e quella del doppiaggio, che genera un valore prettamente
d'uso, comprendente i produttori. Con il sottotitolaggio lo
spettatore ha un rapporto parziale con un soggetto integro,
mentre col doppiaggio ne ha uno completo con un soggetto "manomesso".
Il film doppiato "è un altro film" che quindi
genera problemi con il diritto d'autore, problemi dello spettatore
e problemi dell'opera.
Alla fine degli anni Settanta debutta una nuova generazione
di comici (Benigni, Troisi, Verdone, Nichetti), una sorta
di industria cinematografica che segna la fine dei comici
della commedia all'italiana e coincide con la diffusione della
televisione commerciale. Questi nuovi comici, infatti, provengono
tutti da esperienze nel varietà e nel cabaret e sono
"registi di sé stessi", in quanto la televisione
rappresenta il "grado zero" della scrittura cinematografica.
Il percorso comico di Giuseppe Bertolucci si completa con
I cammelli (1988) e Troppo
sole (1994), nei quali lavora con la generazione successiva
ai comici già nominati, che nasce in televisione e
vede due esponenti di spicco in Paolo Rossi e Sabina Guzzanti,
i "comici del disagio", interpreti dei due film
citati e frutto di attente contaminazioni tra tragico e comico,
tra alto (ideologia) e basso e quindi tra ideologia e comico.
La generazione di Bertolucci debutta nel periodo di crisi
del sistema cinema/televisione (fine anni Settanta) che coincide
con l'avvento della televisione privata. Il cinema "spazzatura"
mette in difficoltà il cinema d'autore italiano che
è quindi caratterizzato da una scarsa produzione.
La televisione
Il lavoro televisivo è stato fondamentale nella carriera
di Giuseppe, con esperienze in tutti i generi, tra cui alcune
fiction come Andare e venire
(1971), Una vita in gioco (1992),
Il mago, il re e la regina (1997)
un documentario musicale girato nel backstage del Macbeth
diretto da Riccardo Muti ed edizioni televisive di spettacoli
teatrali.
Negli anni Sessanta la Rai attuava un servizio pubblico e
un progetto pedagogico di valorizzazione della lingua e della
cultura. Negli anni Settanta nacquero le televisioni commerciali
locali e poi la Fininvest; la televisione diventò un
contenitore di pubblicità, fu "spettacolarizzata"
e fece nascere un certa "società dello spettacolo"
che si fondava sulla legge della "televisione come legittimazione
della realtà". Nacquero i primi problemi di audience.
Nello stesso periodo ci fu uno sconvolgimento del sistema
cinematografico con la nascita di problemi di censura e di
autocensura e la necessità di differenzazione dell'offerta.
La televisione si configurava più sul modello teatrale
che su quello cinematografico, cioè sul modello di
un monitoraggio senza regia, senza io narrante e di forte
trasgressione rispetto alla grammatica cinematografica.
Da sottolineare, nella continua ricerca di affrontare tutti
i generi, i documentari "antropologici" di Bertolucci
che sono stati: Se non è ancora
la felicità (1976), Panni
sporchi (1980), Il perché
e il percome (1987). Il fine di questi documentari
è quello di testimoniare ed esplorare le persone (giovani
comunisti, "drop out" alla stazione di Milano, tossicodipendenti)
ed il loro senso comune, facendoli parlare da esseri pensanti.
Il grande uso del piano sequenza in Panni sporchi introduce
questo tema: esso è "molto teatrale" ed è
diventata la bandiera del cinema di regia dal neorealismo
in poi, ma rappresenta la "mortificazione del montaggio".
Le costanti di questi tre lavori sono state l'unicità
di luogo e la struttura alfabetica, necessarie "per creare
un partitura di un testo musicale". Il documentario per
Bertolucci rappresenta la "drammaturgia della non finzione".
Afferma infine che "il documentario d'autore non esiste
più nella televisione attuale, esiste solo il documentario
giornalistico".
Il
digitale
Con L'amore probabilmente (2000)
Bertolucci indaga per la prima volta l'universo del digitale,
che fa capolino durante gli anni Ottanta, periodo nel quale
il video analogico viene utilizzato per i sopralluoghi dei
film e per il casting ed il controllo video modifica il modo
di stare sul set degli attori.
Le riprese ed il montaggio de L'amore probabilmente vengono
fatte in digitale, che Bertolucci definisce "un'alternativa
possibile". Comporta la possibilità di abbattimento
della messa in scena, di scrittura come "previsione per
inquadrature di una sequenza", di ripresa diretta e suo
successivo monitoraggio, di superamento del "decoupage".
Essenziale è il cambiamento dell'organizzazione del
lavoro: più tempo per le riprese e meno per l'allestimento
con conseguente riduzione della troupe. Il lavoro con gli
attori presenta una nuova offerta: l'attore diventa il centro
di gravità e si assiste al dilatamento dell'espressione.
Lo spazio dell'espressione diventa un set a 360 gradi a disposizione
dell'attore. C'è un maggior impegno e un cambiamento
del rapporto tra attore e telecamera -"più intimità".
Il passaggio dalla moviola al computer non solo mette in crisi
la meccanica, la manualità e il lavoro dei montatori,
ma cambia anche il concetto stesso di regia. Il digitale rende
il cinema immortale, non deperibile.
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